domenica, febbraio 20, 2011

Chiamami ancora Stranamore

Stranamore


E' lui che torna a casa sbronzo quasi tutte le sere
e quel silenzio tra noi due che sembra non finire,
quando lo svesto. lo rivesto e poi lo metto a letto,
e quelle lettere che scrive e poi non sa spedirmi...
forse lasciarlo sulle scale è un modo di salvarmi
E tu che hai preso in mano
il filo del mio treno di legno,
che per essere più grande avevo dato in pegno:
e ti ho baciato sul sorriso per non farti male,
e ti ho sparato sulla bocca invece di baciarti
perchè non fosse troppo lungo il tempo di lasciarti:

Forse non lo sai ma pure questo è amore.

E l'alba sul Danubio a Marco parve fosforo e miele
e una ragazza bionda forse gli voleva dire
che l'uomo è grande, l'uomo è vivo,
l'uomo non è guerra;
ma i generali gli rispondono che l'uomo è vino,
combatte bene e muore meglio
solo quando è pieno.

E il primo disse "Ah sì,
non vuoi comprare il nostro giornale?!"
e gli altri "Lo teniamo fermo tanto per parlare"
ed io pensai - ora gli dico "Sono anch'io fascista" -
ma ad ogni pugno che arrivava dritto sulla testa
la mia paura non bastava a farmi dire basta.

Forse non lo sai ma pure questo è amore

Ed il più grande
conquistò nazione dopo nazione,
e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione
perché più in là
non si poteva conquistare niente:
e tanta strada per vedere un sole disperato,
e sempre uguale e sempre
Bello l'eroe con gli occhi azzurri dritto sopra la nave,
ha più ferite che battaglie, e lui ce l'ha la chiave,
Ha crocefissi e falci in pugno e bla bla bla fratelli,
ed io ti ho sollevata figlia per vederlo meglio,
io che non parto e sto a guardarti
e che rimango sveglio.

Forse non lo sai ma pure questo è amore.


Roberto Vecchioni



sabato, febbraio 12, 2011

Esercitiamo la memoria / 2

LA PADANIA, 30 settembre 1998

Dopo le Holding del mistero, "salta" un altro tappo: la Banca Rasini
L'istituto di "famiglia" passato al setaccio

di Max Parisi

La nostra inchiesta sul mistero Berlusconi continua a procedere. Innanzitutto una notizia scivolata via dalla grande stampa nazionale - e mi pare ovvio... - soltanto alcuni giorni fa: la Procura di Palermo ha ordinato il sequestro dell'intero archivio della Banca Rasini.Ah, Cavaliere, che dolori in arrivo...Come più volte abbiamo scritto, la sede principale dove vennero custoditi alcuni dei capitali all'origine dei "grandi affari" berlusconiani è proprio questo istituto di credito siculo-meneghino, fondato a metà dagli anni Cinquanta da una strano miscuglio di persone: esponenti della nobile famiglia milanese dei Rasini, ed esponenti della più disgraziata periferia palermitana ad altissimo tasso mafioso: gli Azzaretto di Misilmeri. Per quasi vent'anni, e per tutto il primo periodo d'attività di Silvio Berlusconi, la Rasini ha rappresentato un punto fermo, un faro imprescindibile per le avventure professionali del futuro Cavaliere. Alla Rasini, voluto sia dagli Azzaretto sia dai Rasini, ha lavorato fino alla pensione Luigi Berlusconi, padre di Silvio. E non ebbe un ruolo marginale, anzi. Fu procuratore con potere di firma di tutto questo clan di strani banchieri, questa confraternita tenebrosa di uomini e interessi la cui natura diventerà tragicamente chiara nel 1983, il 15 febbraio, il giorno dell'operazione "San Valentino", grande retata della polizia milanese contro le cosche di Cosa Nostra annidate in città. Diversi degli arrestati, Luigi Monti, Antonio Virgilio, Robertino Enea e per loro conto il clan Fidanzati, il clan Bono, Carmelo Gaeta e i relativi referenti palermitani, ovvero Pippo Calò, Totò Riina e Bernardo Provenzano, erano correntisti multimilardari della Banca Rasini.Non solo questa "clientela" affezionata al riciclaggio finì in galera, anche il direttore generale della Rasini, tal Vecchione, in seguito subirà una condanna a 4 anni di carcere. Naturalmente, ripensando a tali vicende, non può che sorgere un interrogativo presto risolto: chi volle che tutta questa marmaglia operasse nella banca di Piazza dei Mercanti numero 8? Proprio Giuseppe e Dario Azzaretto, padre e figlio. Ora capite l'importanza del decreto di sequestro dell'archivio di questo istituto di credito presso la Banca Popolare di Lodi, che ha assorbito la Rasini qualche anno fa? È assolutamente basilare per poter ricostruire l'epopea di mister Forza Italia, ma anche altre vicende che apparentemente "sembrerebbero scollegate" dalla storia di Berlusconi. Infatti non finisce qui l'importanza della notizia dell'acquisizione di questa documentazione. La Rasini, dopo lo scandalo di mafia del 1983, venne ceduta dagli Azzaretto... indovinate a chi? L'avete già letto nella nostra inchiesta sull'Imi-Sir: a Nino Rovelli, il grande elemosiniere, colui che diede 2 miliardi a Giulio Andreotti, denaro di cui scrisse Mino Pecorelli (il famoso articolo: "Gli assegni del Presidente" che non venne mai pubblicato) costandogli la vita. Proprio un bell'ambientino, eh, quello della Rasini di berlusconiana memoria, non trovate? Tuttavia, per meglio capire fino a dove si spinse la ragnatela infame di questa banca, è necessario ricordare che Giuseppe Azzaretto sposò... la nipote di Papa Pacelli. Mancava giusto giusto questo tassello per completare il quadro. È fuori di dubbio che tale signora possedesse diverse e apprezzate qualità, non ultime le relazioni personali e perfino di parentela con importanti personaggi del Vaticano, ad iniziare dal Papa. Certo che ne fece di "carriera" quell'uomo, Giuseppe Azzaretto, partito da una delle frazioni più povere e miserabili di Palermo, e ritrovatosi nel volgere di pochi anni al vertice di una banca a Milano - da lui fondata - e perfino maritato con una damigella la cui famiglia era tra le meglio introdotte nei gangli del potere millenario della Roma dei Papi. C'è ancora molto da scoprire, come si vede. Se la Banca Rasini venisse davvero scoperchiata fino in fondo, sono convinto che una parte della storia d'Italia andrebbe riscritta, e sarebbero le pagine peggiori. Della storia più recente della Rasini - il lettore ricorderà anche questo - abbiamo scritto anche altro. Ad esempio abbiamo raccolto la testimonianza della baronessa Maria Giuseppina Cordopatri, che fu correntista di questo istituto di credito. La baronessa ha reso noto che il vero dominus della banca non era il clan Azzaretto sic et simpliciter, bensì un certo Giulio Andreotti. Non è notizia da poco, se si pensa che Nino Rovelli rileverà questa banca benché in vita sua non avesse mai operato nel settore. Per conto di chi Rovelli gestirà la Rasini fino all'arrivo della Banca Popolare di Lodi? Bella domanda.In ogni caso, come si diceva all'inizio, la nostra inchiesta sta avanzando. Nei prossimi giorni saremo in grado di approfondire in maniera circostanziata il ruolo e l'azione delle due società fiduciarie della Banca Nazionale del Lavoro, Saf e Servizio Italia, che tanto hanno avuto a che fare con la costruzione del Gruppo Fininvest all'epoca in cui il vero "burattinaio" si chiamava Licio Gelli. Eh sì, proprio lui, che nell'anno 1978 - quando vennero fondate 32 delle 38 Holding Italiane - annotò fra gli iscritti alla sua loggia infame anche Silvio Berlusconi, il piduista n° 1816, entrato nel cerchio infernale gelliano... esattamente lo stesso anno in cui nascono dal nulla (con l'uso del solito schermo di prestanome) le holding casseforti del suo futuro impero. Accidenti, che coincidenza, anzi: che pista investigativa.Su un altro versante, saremo presto nelle condizioni di svelare i rapporti fra alcune di queste Holding Italiane "occulte" e inquietanti personaggi palermitani, così pure saremo in grado di disegnare la "mappa" di intrecci societari fra queste Holding segrete e altri rami della pianta berlusconiana, ad esempio Mediaset.Mala tempora currunt, signor Berlusconi. Se n'è accorto? A proposito, Cavaliere: rammenta l'illustrissimo signor Aldrighetti e quel famoso aumento di capitale di 52 e passa miliardi? A presto.


Esercitiamo la memoria / 1

LA PADANIA, 26 aprile 1998

ESCLUSIVO / Decima puntata della nostra inchiesta sull'Imi-Sir.
Novità sulla Banca Rasini: "Il divo Giulio"
Andreotti & la banca dei mafiosi a Milano
La baronessa Maria Cordopatri svela un segreto custodito da dieci anni

di Max Parisi

Roma«Ho letto il suo servizio comparso domenica sulla Padania, e ho notato che le mancano, Parisi, alcune fondamentali informazioni che spiegano molte cose. Sono stata correntista della Banca Rasini dal 1980 al 1989...» Alt!Per la prima volta in assoluto nella storia travagliatissima di questo istituto di credito siculo-milanese, qualcuno di molto importante ha deciso di rompere il silenzio. È la baronessa Maria Giuseppina Cordopatri. Non più tardi di 4 giorni fa - via fax - mi ha inviato una lunga lettera che inizia con le parole che avete appena letto. «Ero titolare di due conti correnti nonché di un fido di oltre 100 milioni circa il quale non mi erano mai state chieste garanzie di sorta perché venni presentata all'allora presidente e direttore generale dottor Dario Azzaretto da amici del vero proprietario del pacchetto azionario di maggioranza della banca. Formalmente era intestato alla famiglia Azzaretto, ma nella realtà era controllata da Giulio Andreotti. Il commendator Giuseppe Azzaretto, padre di Dario, era all'epoca uomo di fiducia di Andreotti. Il punto saliente, ai fini della sua inchiesta giornalistica, che non è stato evidenziato è che quando la mafia siciliana si impossessa della Banca Rasini, la banca è già di Andreotti. Lasciai la Banca Rasini quando la lasciarono gli Azzaretto, cui subentrò, mi fu detto, una società svizzera».Innanzitutto un "dettaglio" a questo punto davvero inquietante: le inchieste di mafia degli anni 1981-'84 condotte a Milano da un valoroso vicequestore, Antonio Fiori, approdarono a processi contro i boss - tra i quali Luigi Monti e Antonio Virgilio - che portarono a pesanti condanne in primo e in secondo grado di giudizio. Nelle sentenze che ancora oggi è facile rintracciare (sono atti pubblici) era prevista la confisca dei beni di mafia, inclusi ovviamente i capitali in contanti. Ebbene, alcuni di questi soggetti - quelli finanziariamente più rilevanti - avevano conti e depositi presso la Banca Rasini e anche quei soldi - decine di miliardi - sarebbero passati dal sequestro alla confisca se... non fosse entrato in scena il presidente della Prima Sezione della Corte di Cassazione, dottor Corrado Carnevale. Grazie al verdetto definitivo da lui firmato in Cassazione, venne "cancellato" l'intero impianto accusatorio contro Monti e Virgilio e tutti i beni mobili e immobili vennero resi ai loro degni proprietari. Questa decisione di Carnevale ancora oggi grida vendetta, ma assume una luce tutta nuova quando si apprende - come sostiene l'ex correntista della Banca Rasini, la baronessa Cordopatri - che questo istituto di credito era posseduto, nel momento in cui accadono queste loschissime vicende, da Giulio Andreotti. Se Corrado Carnevale entra in scena "salvando" dal disastro due potenti finanzieri correntisti della Banca Rasini, a questo punto, date le importanti novità emerse ora, il motivo della sua azione potrebbe avere un fondamento ben più profondo. Così pure l'entrata in scena di Nino Rovelli - avvenuta nei tardi Anni Ottanta - assumerebbe un significato estremamente speciale, se si pensa che a vendere furono sì gli Azzaretto, ma per interposta persona Giulio Andreotti, che era stato per tutti gli anni Settanta gran patron e sponsor politico della Sir, tanto che Rovelli "ricambiò" i favori in denaro contante, più di un miliardo, "negoziato" sia da gangster della banda della Magliana sia da oscuri faccendieri dell'entourage andreottiano. Quei soldi, oltretutto, sono alla base dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, tanto che a Perugia è in corso un processo a carico di Andreotti e Vitalone proprio su questi fatti.Quindi la Rasini sarebbe stata di Andreotti. Quindi i boss di mafia che ebbero - perché è ovvio che la ebbero - l'autorizzazione ad aprire conti correnti in questo istituto di credito annidato nel cuore di Milano, iniziarono le loro "attività" bancarie in una banca con tale padrone! Capite? Questi intrecci, queste proprietà occulte, questo immenso verminaio per quello che si può capire dalle devastanti dichiarazioni della signora Cordopatri, credo possano e debbano interessare la Procura di Palermo e quella di Perugia.Il gigantesco mosaico della Sir riserva colpi di scena ogni giorno che passa.Anche la presenza dell'avvocato Ungaro, come abbiamo scritto domenica scorsa, tra i vertici della Rasini dal 14 dicembre del 1973, a questo punto assume un rilievo straordinario. Nel 1977 l'avvocato romano Mario Ungaro si rese responsabile di un'azione che vista oggi, dopo i fatti appena noti, assume anch'essa un significato eccezionale: nel gennaio del 1977 il bancarottiere Sindona scrive ad Andreotti, affidando la consegna della missiva all'avvocato Mario Ungaro! Ecco alcuni passaggi della lettera indirizzata ad Andreotti: «Lei - scrive Sindona di suo pugno - dovrebbe fare qualcosa almeno in Italia, e precisamente: sollecitare la Banca d'Italia per la sostituzione di Ambrosoli; ridimensionare il comportamento del giudice istruttore e del pubblico ministero che dopo tre anni non sono riusciti a prendere alcun provvedimento conclusivo, eccezion fatta per il mandato di cattura; trovare una soluzione per la Banca Privata Italiana, sollecitando gli interessati, tale da far cadere il presupposto dei reati fallimentari». (pagg. 569-70 del Volume delle "Relazioni" della Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Sindona -ndr). L'avvocato Ungaro, per conseguenza, gode - visto il contenuto della lettera di Sindona - di totale fiducia dello scrivente, ma anche del destinatario, altrimenti un messaggio di questo tenore finito in "mani sbagliate" avrebbe potuto decretare la fine politica dello stesso leader democristiano. È questo genere di personaggio quindi l'avvocato Ungaro seduto nel Cda della Rasini dalla settimana che precedette il Natale del '73.Ora, come fosse una ciliegia avvelenata su questa torta già al cianuro, vediamo cosa disse della Rasini... Michele Sindona in persona. Ormai ridotto a un carcerato senza più alcuna speranza di libertà nonostante l'attendesse ancora il processo in Italia per l'omicidio Ambrosoli (fu condannato all'ergastolo), nel 1984, in galera negli Stati Uniti, Sindona incontrò Nick Tosches, un giornalista del New York Times. La loro frequentazione continuò anche l'anno successivo, il 1985, nei mesi di maggio, agosto e settembre. Questa volta Sindona parlò al cronista americano mentre si trovava detenuto in Italia nel carcere di Voghera. Da questa lunga frequentazione a cavallo di due anni e di un oceano, scaturì un libro, scritto ovviamente da Tosches, intitolato "Il mistero Sindona".A pagina 111 di quest'opera, sta scritto: «Come sai - Sindona sta rispondendo a una domanda di Tosches - le mie banche italiane erano istituti di prim'ordine con soci di prim'ordine. La Banca Privata Italiana era una banca dell'aristocrazia. La mafia invece si serve sempre di istituti e professionisti di second'ordine». Detto questo, Tosches aggiunge: «Sindona socchiuse gli occhi con espressione scaltra. Quali sono le banche usate dalla mafia? Sindona prese tempo. È una domanda pericolosa, rifletté. In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in Piazza dei Mercanti». Alt!La piccola banca di piazza dei Mercanti alla quale accennò Sindona poco prima di essere "suicidato" in carcere, era la Banca Rasini. Non ci sono dubbi. In piazza dei Mercanti a Milano, a due passi dal Duomo, solo la "piccola banca" Rasini apriva i suoi sportelli nel 1985 quando Sindona rese questa sua dichiarazione a Tosches. In tutta quella piazza non c'era altro istituto di credito che avesse la sede o semplicemente un'agenzia. Attaccando la Rasini, Sindona, ergastolano, cosa intese fare? Quale minacciosissimo segnale di fredda vendetta per non essere stato "salvato" volle lanciare? A chi era indirizzato questo accenno a una sua più ampia confessione che avrebbe scatenato un pandemonio? La baronessa Cordopatri non ha dubbi: la Banca Rasini era amministrata da Giuseppe e Dario Azzaretto "per conto di Giulio Andreotti". Se le cose stanno così, allora tutto quadra e un paio di processi in corso dovrebbero essere rivisti con l'aggiunta di questi fatti, e anche gli eredi di Nino Rovelli dovrebbero offrire nuove spiegazioni.(continua domenica 3 maggio).


sabato, gennaio 29, 2011

C'è un Piano ancora attuale

Fonte: http://www.iltempo.it/politica/2011/01/28/1233133-piano.shtml


di Attilio Ievolella

28/01/2011


Per l’Italia la loggia P2 (e Licio Gelli) sono come ombre perenni, mai completamente illuminate dalla luce. L’ultimo, in ordine di tempo, a riaprire questo libro è stato Bruno Rozera, prefetto massone in pensione, parlando, tra l'altro, in un'intervista a L'Espresso, di un «livello superiore a Gelli». Ma da questi arriva una versione diversa, ovvero la citazione di una terza organizzazione («compagna» di P2 e Gladio) per l'attuazione del «Piano di rinascita democratica». Come si chiama questa «terza gamba»? «Mi dispiace, ma non ricordo, davvero... Eppoi la P2 è un capitolo chiuso, ormai». Così, mistero si aggiunge a mistero, nonostante il «Maestro Venerabile» della P2, prossimo ai 92 anni, intervistato a «Villa Wanda», sua residenza a Castiglion Fibocchi, piccolo paese della provincia di Arezzo, si schermisca: «Guardi, oramai dell'Italia mi interessa nulla... alla mia età, si figuri. Sono vecchio, ormai». Per poi aggiungere, sibillino: «Però se soltanto avessi venti anni di meno, rifarei il "Piano" e lo attuerei...».


Vede che si ritorna sempre lì? A un passato fatto di massoneria, loggia P2, "Piano di rinascita democratica", accuse di eversione...
«Le ripeto, per me è un capitolo chiuso, la P2, chiuso in maniera definitiva. Ho addirittura donato tutti i miei documenti all'Archivio di Stato di Pistoia».


Avrà tenuto per sé i carteggi più «delicati», dica la verità...
«Assolutamente, non ho conservato nulla... perché avrei dovuto conservare ancora? Certo, se avessi avuto la sua età, probabilmente avrei tenuto ancora quelle carte... Ma ho un'altra età rispetto alla sua, così mi sono voluto liberare di tutto. Me ne voglio andare tranquillo, tranquillissimo, da ogni punto di vista. Tenga presente che ho preso quella decisione anche contro il volere dei miei familiari, ma siccome era materiale mio, anche se loro non erano d'accordo, ho deciso così. Ho sfidato anche loro. C'era tanto materiale da poter monetizzare, ma oramai non ho nulla da guadagnare e nulla da perdere. Tanto per farle capire, all'Archivio di Stato mi hanno detto che molte cose sono secretate, perché alcune persone sono tuttora vive».


Eppure lei stesso ha, ironicamente, detto di volere chiedere i diritti di autore, alla luce di quanto aveva programmato nel "Piano di rinascita democratica". L'impressione è che quel Piano sia sempre lì sul tavolo, e non in un archivio...
«Quel Piano, come lo chiama lei, non solo lo rifarei, ma vorrei anche riuscire ad attuarlo, se solo avessi venti anni di meno. All'epoca, se avessimo avuto quattro mesi di tempo ancora, saremmo riusciti ad attuarlo... In quel momento avevamo in mano tutto: la Gladio, la P2 e... un'altra organizzazione, che ancora oggi non è apparsa ufficialmente, non creata da noi ma da una persona che è ancora viva tutt'oggi, nonostante abbia oramai tanti anni... Avevamo tre organizzazioni... ancora quattro mesi di tempo e avremmo sicuramente messo in pratica il Piano. Che, sia chiaro, era valido allora e sarebbe valido anche adesso. Certo, servirebbero delle modifiche, ma attuando il Piano non saremmo arrivati alla situazione che, in Italia, si vive oggi...»


Qual era questa terza organizzazione?
«Mi dispiace, ma non ricordo, davvero...»


Sempre punti oscuri. Come quello relativo all'effettivo numero di iscritti della P2: oltre 900 quelli compresi nella lista rinvenuta nel 1981, almeno 2500 secondo la relazione della commissione parlamentare d'inchiesta presieduta da Tina Anselmi.
«Le dico, non mi ricordo, davvero, quanti erano gli iscritti della P2... Piuttosto...»


Piuttosto?
«Avrei voluto parlare con la Anselmi, ho anche chiesto di organizzare un incontro, per dirle che sono stati i suoi collaboratori a tradirla. Non a caso, abbiamo potuto smentire tutto ciò che era stato detto e scritto all'epoca... In quel momento furono dette tante stupidaggini, e anche la Anselmi ne avrebbe beneficiato, perché aveva la possibilità di diventare presidente della Repubblica: la Democrazia Cristiana l'avrebbe votata, e anche ai comunisti non sarebbe parso vero per il colpo che era stato messo a segno».


A leggere le carte, però, sembra andata diversamente. E anche a considerare i tanti, troppi misteri. Come, ad esempio, il rapporto con la Chiesa.
«Tenga presente che era prevista la scomunica finanche per i laici iscritti alla massoneria. Poi, ci fu un cambiamento: la scomunica, secondo quanto stabilito dal Vaticano, poteva essere emessa solo nei confronti degli ecclesiastici. Ma sappia che i religiosi iscritti alla massoneria erano svariati, all'epoca, anche di alto grado. E non venivano mai citati, perché appartenevano a un altro elenco...»


Appunto, l'ennesimo mistero... Tornando all'attualità, oggi, sembra di rivedere molti punti del «Piano di rinascita democratica»: ad esempio, la riforma della giustizia e la divisione del fronte sindacale... E lei ha espresso un giudizio positivo, tempo addietro, su Berlusconi e sul suo Governo.
«Precisiamo: il giudizio era positivo»


Oggi, invece?
«Negativo»


Cos'è cambiato?
«Senta, quando due persone si sposano, fanno questa scelta con ardore, con calore. Poi, succede che, dopo tre, quattro anni, decidano di separarsi... Perché? Semplicemente perché sono venuti a mancare quei principi, quei valori. Ecco, anche lui, Berlusconi intendo, è venuto meno rispetto a quei principi che noi pensavamo lui avesse... E ricordi che l'ho avuto per sette anni nella loggia, quindi credo di conoscerlo... l'ho anche aiutato, quando ho potuto...»


E in cosa è venuto meno Berlusconi?
«Ma pensi anche a questo puttanaio delle ultime settimane... Sia chiaro, è vero che può fare ciò che gli pare e piace, come e quanto vuole, ma bisogna anche avere la capacità di "saperlo fare", eppoi esiste pur sempre un limite. Invece lui continua... ha prima disfatto la famiglia, ora sta disfacendo l'Italia. Ma nessuno gli dice nulla... Ha commesso un reato? Se è vero ciò che gli viene attribuito (e credo che almeno in parte sia vero), allora sì: non avrebbe dovuto farlo, o, quantomeno, avrebbe dovuto utilizzare sistemi più riservati».


Pare di capire che avete puntato sul cavallo (politico) sbagliato...
«Guardi che politici validi, come Cossiga e Andreotti, non ci sono più. E un discorso simile vale anche per generali e ufficiali. Ma lei ha presente l'esercito italiano? Anni fa era un esercito per il Paese, non un esercito a cui si chiede di ripulire le città dall'immondizia, mentre i netturbini sono in cassa integrazione. Oggi, invece, mandiamo i soldati in Afghanistan e in Iraq: a noi cosa interessa? Da tutto ciò noi abbiamo ricavato solo morti! E io mi chiedo: ma le autorità italiane non si vergognano mentre baciano le bare dei soldati uccisi? Ripeto, non abbiamo alcun interesse ad andare in quei Paesi, eppure quei soldati sono morti perché quelli che baciano le bare, hanno deciso di mandarceli... Lei pensa che questo sia un Paese serio?».


domenica, gennaio 23, 2011

Oltre il signoraggio bancario verso la sovranità monetaria

Fonte: http://www.agenziaradicale.com/index.php?option=com_content&task=view&id=11704&Itemid=50

lunedì 03 gennaio 2011

di MAURIZIO MOTTOLA

La globalizzazione si sta radicando sull'indebitamento, che riduce in soggezione economica cittadini, imprese, paesi più poveri ed adesso anche paesi con consistente prodotto interno lordo (PIL) ed inoltre subordina le politiche territoriali degli Stati nazionali a fini economici non territoriali. L'attuale crisi economica internazionale si avvia all'irreversibilità, in quanto la situazione è basata su di una moneta ormai virtualizzata e dematerializzata ed in quanto oramai gli Stati hanno perso la loro sovranità monetaria.

Per intendersi sul concetto di sovranità monetaria bisogna risalire a quando gli Stati hanno rinunciato alla loro podestà di emettere moneta e la hanno invece delegata al sistema bancario (ossia a banchieri privati). Ciò risalirebbe al XVII secolo, allorquando le aristocrazie regnanti nei paesi europei si accordarono con i banchieri creditori di tali paesi a che fondassero banche private, a cui trasferire la podestà (dapprima prerogativa dei Re) di emette denaro, creando in favore di tali banche il monopolio della emissione e prestito della moneta, la qual cosa perdura anche oggi ed anzi si è maggiormente consolidata nelle mani del sistema delle banche centrali.

Inoltre nel 1933 la Federal Riserve (FED), la banca centrale americana, che è privata sia nella forma che nella sostanza, rastrellò tutto l'oro disponibile nel sistema (la pena per chi non consegnava il suo oro era la reclusione fino a dieci anni!) e così divenne in pratica l'unica istituzione a possedere oro e così le regole sulla stampa delle banconote furono a sua completa discrezione: scomparve la dicitura "convertibile in oro" ed apparve la dicitura "moneta a corso legale", ossia la banconota non rappresentava più l'oro che ne giustificasse il valore ed invece era diventata un valore in sé!

La data del 1 maggio 1933 rappresenta quindi l'inizio del passaggio del denaro da mezzo di scambio (il cui valore viene garantito dalla convertibilità in oro) a prodotto che ha un valore di per se stesso. Il processo si completa il 15 agosto 1971, a Camp David, allorquando il presidente statunitense Richard Nixon annunciò la decisione di sospendere la convertibilità del dollaro in oro, perché il Tesoro americano non era più in grado di sostenere le richieste di convertibilità. A questo punto il denaro diviene definitivamente un valore in sé, virtualizzato e dematerializzato dalla cessazione della convertibilità in oro.

Il tumore della speculazione può esplodere sregolatamente in quanto non più antagonizzato dagli anticorpi della convertibilità in oro, che ancorava il mezzo di scambio del denaro alla concretezza ed alla oggettiva materialità dell'oro. Il sistema non è piùeconomia, mafinanza; cioè si consolida un processo di astrazione, per cui la banconota, fondata sul nulla (o meglio su sempre più perverse convenzioni), perde il concreto contatto con la materialità dell'economia (produttività, organizzazione del lavoro e così via) ed assume una vita propria, un'autonomia che la rende oggetto di tutti i giochi possibili ed immaginabili e facendole perdere la sua originaria connotazione: quella di essere un mezzo convenzionale di scambio.

Che il denaro sia totalmente smaterializzato è comprovato dal fatto che le attuali riserve auree dei paesi del mondo non superano le 200.000 tonnellate, mentre il corrispettivo in oro di tutte le banconote e gli equivalenti monetari che girano per il mondo ammonta ai prezzi correnti ad un corrispettivo di 75.000.000 di tonnellate di oro!

Allora, se l'oro non c'è più ad ancorare alla concretezza il denaro (che resta comunque una convenzione), in base a cosa vengono stampate oggi le banconote? Ad esempio il governo italiano decide di avere bisogno di denaro e non potendo creare direttamente le banconote stampa pezzi di carta denominati "titoli di debito pubblico" per un valore diciamo di 10 miliardi di euro.

La Banca d'Italia acquista di fatto (tramite intermediari che lei sola può autorizzare a partecipare alle aste di vendita) il debito emesso dallo Stato (cioè i titoli del debito pubblico), stampando anch'essa un mucchio di carte chiamate banconote per un valore attribuito pari ai 10 miliardi di euro dei titoli del debito pubblico. Ridistribuito nei conti correnti dei partecipanti all'asta le banconote di carta aggiungono ora 10 miliardi di euro alla base monetaria complessiva.

Quello che è avvenuto in realtà è un vero e proprio scambio tra uno Stato (quello italiano) ed una banca gestita da privati (lo è la Banca d'Italia!): i titoli del debito pubblico sono stati scambiati con nuovo denaro emesso dalla Banca d'Italia, affiliata alla Banca Centrale Europea (BCE).

Questa transazione oggi avviene elettronicamente, senza carta. Infatti si stima che solo il 10% della base monetaria in Italia sia costituita di denaro fisico, mentre il restante 90% esiste solo negli archivi informatici. I titoli del tesoro sono per loro natura strumenti di debito, come le cambiali, quindi la Banca d'Italia presta denaro allo Stato, utilizzando come garanzia solo l'impegno del governo di restituire quel denaro, che è stato creato dal nulla attraverso l'indebitamento del governo che promette di restituirlo.

Questo debito che ricade sullo Stato, cioè sul popolo, si chiama debito pubblico ed il creditore originale e poi gestore ne è la Banca d'Italia, una banca essenzialmente privata con un capitale sociale di 156.000 euro soltanto, che risponde alla Banca Centrale Europea, un organismo estraneo all'Unione Europea, posto al di sopra di esso, esonerato da qualsiasi controllo e garanzia politici, democratici ed anche giudiziari; i suoi verbali sono segreti e sostanzialmente è un potere sovrano al di sopra dei parlamenti, anche del parlamento europeo.

Una conferma è nei dati: il 43% del debito pubblico è detenuto dalla Banca d'Italia o da Istruzioni Finanziarie e Monetarie italiane; la parte restante è allocata tra investitori privati italiani ed esteri ed istituzioni finanziarie estere. Dunque il denaro viene creato attraverso l'indebitamento, su cui gravano ulteriormente gli interessi, per pagare i quali si crea ulteriore indebitamento in una spirale perversa che può portare al crollo cittadini e nazioni. Ora poiché il costo di produzione delle banconote (o di impulsi elettronici) è pressoché nullo (per la precisione 0,30 centesimi per i costi materiali di produzione di ogni banconota!), il guadagno di chi produce denaro (la Banca d'Italia nell'esempio) è quasi pari al valore nominale del denaro prodotto e messo in circolazione!

Dunque la Banca d'Italia per ogni cento euro nominali emessi ne guadagna quasi 100 (meno le poche decine di centesimi del costo di produzione di ogni banconota). Questo guadagno (definito signoraggio) però viene pagato da chi compera il denaro, ossia sostanzialmente dallo Stato (dunque dai cittadini) o da altre banche, ed è un profitto netto che la Banca d'Italia realizza senza alcun rischio e senza fatica e poiché essa è proprietà di società private, questo guadagno ( signoraggio) va alle società private.

Non c'è perciò interesse da parte di queste ultime all'estinzione del debito pubblico, se l'ulteriore indebitamento, dovuto agli interessi, è fonte di tale facile guadagno, che tra l'altro non viene praticamente tassato grazie alle regole contabili di comodo create dal sistema  bancario. Una semplice modificazione di queste regole contabili, una tassazione intorno al 7% del signoraggio (un profitto enorme dato in nome della delega ad emettere denaro!) consentirebbe alla società civile di raggiungere un equilibrio economico che consenta a sua volta a tutti i cittadini un certo grado di tranquillità e di benessere, in quanto porterebbe sufficienti risorse alla finanza pubblica ed anche il rilancio dell'economia e degli investimenti (a discapito dei perversi giochi finanziari), evitando i tagli delle spese sociali.

Tutto questo ovviamente in attesa di riconferire di nuovo allo Stato italiano la podestà di emettere lui le banconote, riconsegnandogli dunque la sovranità monetaria, che esprime la funzione di potere più autentica ed incisiva. Così i cittadini, finora espropriati della propria sovranità in quanto l'emissione delle banconote avviene da parte del sistema bancario, potrebbero riprendersi pienamente i propri diritti e le proprie prerogative, finora esercitati da organi non espressione della volontà popolare, ma da soggetti prevalentemente privati (che attualmente si identificano nella Federal Riserve, nella Banca Centrale Europea, nella Bank of England, nella Banca del Giappone e nella Banca della Cina), riconferendosi alle istituzioni parlamentari (espressioni della sovranità popolare) la piena decisionalità politica in tema di economia.

Del resto lo stesso Giulio Tremonti, intervistato in diretta nazionale al TG1 la sera di venerdì 6 marzo 2009, ebbe tra l'altro a dire "(...) la causa principale della formazione del debito pubblico è che gli Stati hanno ceduto la sovranità monetaria (...)".

Forse conosceva quanto Thomas Jefferson aveva scritto a John Madison nel 1816: "Se mai il popolo americano permetterà alle banche private di gestire l'emissione della sua moneta, allora, alternando inflazione e deflazione, le banche e le società finanziarie spoglieranno il popolo di ogni proprietà, finché i suoi figli si sveglieranno senza un tetto nel continente che i loro padri conquistarono. Credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per la nostra libertà che eserciti in armi ... il potere di emissione dovrebbe essere tolto alle banche e restituito allo Stato a cui esso propriamente appartiene.".

Sono passati circa due secoli e gli Stati non hanno ancora la propriasovranità monetaria!

E per ciascun cittadino italiano la quota individuale (virtuale e statistica) di debito pubblico ha oltrepassato la soglia dei 30.000 euro, a causa anche e soprattutto dei meccanismi perversi determinati dal signoraggio e dalla mancata sovranità monetaria !