mercoledì, agosto 25, 2010

Un cesare

Tratto da Wikipedia

Cesare Geronzi
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Cesare Geronzi (Marino, 15 febbraio 1935) è un banchiere e dirigente d'azienda italiano, presidente di Generali.

La carriera professionale

Nel 1960 Cesare Geronzi vince il concorso in Banca d'Italia, entrando a lavorare nel 1961 nel settore cambi collaborando con il Governatore Guido Carli per 15 anni. L'ambiente politico negli anni sessanta e settanta è molto difficile, ma Geronzi riesce a farsi largo e ad affermarsi professionalmente. Negli anni ottanta si vede chiuso da Carlo Azeglio Ciampi e Lamberto Dini e si mette quindi sul mercato, diventando, proprio nel 1980, vicedirettore generale del Banco di Napoli, seguendo l’allora Direttore Generale Rinaldo Ossola.

Ma l'esperienza di Napoli non è felice: nel 1982 sia lui sia Ossola sono letteralmente cacciati dal Banco di Napoli. Geronzi nel 1982 passa alla Cassa di Risparmio di Roma, come direttore generale. Alla fine degli anni Ottanta, la carriera di Geronzi ha uno scatto deciso. Il Banco di Santo Spirito, storica banca romana controllata dall'IRI, presieduto da Romano Prodi si trova in difficoltà economiche. Geronzi vorrebbe acquistare il Banco, ma Cariroma non ha gli 800 miliardi di lire necessari per farlo. Per ottenere il capitale necessario allora Cariroma vende a Santo Spirito i propri sportelli, diventando una holding, e con il denaro ottenuto rileva il capitale azionario. Nel 1990 al gruppo viene aggiunto anche il Banco di Roma.

Successivamente la Banca di Roma acquisisce numerose società: compra la Banca Mediterranea, finanzia l'alta velocità delle Ferrovie dello Stato, fonda la holding turistica Ecp. Nel 1995 acquisisce la Banca Nazionale dell'agricoltura (venduta cinque anni dopo all' Antonveneta a 1,5 volte il prezzo pagato) e il suo gruppo supera un giro d'affari di 10mila miliardi di Lire.

A fine anni '90 il gruppo Banca di Roma si allarga al Sud, con l'acquisizione di Mediocredito Centrale e del Banco di Sicilia; in cambio la Regione Siciliana e la Fondazione Banco di Sicilia ne divengono due soci importanti. Nel 2000 sono assorbite la Banca Popolare di Brescia e la Cassa di Risparmio di Reggio Emilia. È questo il percorso che, attraverso l’unione di banche in crisi o pre-crisi, conduce Geronzi alla creazione nel luglio 2002 di un’unica unità bancaria, Capitalia.

Nel 2004 Cesare Geronzi e Capitalia vengono coinvolti nella crisi del sistema finanziario, generata dalla crisi argentina e dai crac Parmalat e Cirio. Capitalia però non aveva emesso alcun bond della Parmalat mentre ne emise solo due su 1.100 della Cirio, insieme a Unicredito e J.P.Morgan. Dopo due anni, il 7 dicembre 2006, il tribunale di Brescia ha condannato in primo grado Geronzi per la vicenda del crac Italcase. Questa accusa è stata poi ribaltata nella sentenza d'appello e, l'11 maggio 2009, Cesare Geronzi è stato assolto con formula piena "per non aver commesso il fatto"

Il 20 maggio 2007, viene deliberata l’approvazione finale della fusione per incorporazione di Capitalia SpA in Unicredit SpA, un’operazione in cui Capitalia viene valutata 22 mld di euro. Dopo circa un mese avviene la fusione di Capitalia con Unicredit, e Geronzi viene nominato all’unanimità presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca, di cui era già Vice Presidente. L’Assemblea del Patto di Sindacato di Mediobanca S.p.A. lo nomina Presidente. Alla fine del 2008 Cesare Geronzi viene riconfermato nella carica di presidente, dopo che il 28 ottobre 2008 l’Assemblea degli Azionisti di Mediobanca approva l’abbandono del sistema di governance “duale” e il ripristino del “tradizionale”. Nel marzo 2010 viene designato da Mediobanca quale Presidente delle Assicurazioni Generali, nomina concretizzata il 24 aprile 2010.

L'editoria e la politica

La sua carriera professionale è stata sorretta storicamente da amicizie politiche importanti, partendo da quella di Giulio Andreotti dei primi anni Ottanta fino al sostegno ricevuto da una parte dei vertici di Bankitalia alla fine degli anni novanta.

Attraverso la sua attività di importante ed affermato banchiere, Geronzi possiede anche numerose partecipazioni in molti gruppi editoriali, che fanno o hanno fatto capo a diverse testate giornalistiche: Risparmio Oggi (diretto da Bruno Vespa), Il Messaggero di Francesco Gaetano Caltagirone, Class di Paolo Panerai, l'Unità, Il Manifesto per finire alla tv Telemontecarlo di Vittorio Cecchi Gori.

In seguito è fra i primi finanziatori della Omnitel e fonda la Mmp, una concessionaria di pubblicità, che si occupa di gran parte della carta stampata, pur essendo perennemente in perdita: Topolino, Secolo d'Italia, L'Unione sarda, Qui Touring, Famiglia Cristiana, Osservatore Romano. La Mmp chiuderà nel 1997 con 450 miliardi di perdite, il 70 per cento delle quali sono a carico del partner pubblico. Sono notevoli anche i finanziamenti ai partiti: nel 1996 i Democratici di Sinistra ricevono da Banca di Roma 502 miliardi, secondo quanto riportato dalla Centrale Rischi Interbancaria della Banca d'Italia.

Il calcio

Dagli anni novanta è aumentato notevolmente il suo impegno nel settore calcistico, ed è nota in particolare l'influenza economica che ha ed ha avuto dentro alcune società calcistiche con problemi finanziari. Luciano Gaucci lo ritenne responsabile del fallimento dell' AC Perugia e gli lanciò numerose accuse da Santo Domingo, dov'era all'epoca latitante; sull'argomento Geronzi è stato sentito dalla magistratura come persona informata sui fatti.

Nel 2004 ha acquisito tramite Capitalia il 49% di Italpetroli, la società che controlla l'AS Roma con una quota del 67%, sfruttando la conversione in azioni di crediti per 35 milioni di euro. La banca deteneva inoltre un'opzione a salire al 51% nel caso il piano di risanamento della squadra non avesse avuto successo ma, nel 2008, tale opzione è stata cancellata. Inoltre Capitalia è uno dei creditori della S.S. Lazio, dopo esserne stata anche azionista e averla salvata con un aumento di capitale.

Casi giudiziari

* Federconsorzi: assoluzione.
* Parmalat - Eurolat: Nell'ambito del processo per il crac Parmalat è indagato per usura aggravata e concorso in bancarotta fraudolenta. Per l'accusa Geronzi avrebbe costretto Tanzi ad accollarsi la società Ciappazzi, appartenenti al gruppo Ciarrapico. L'investimento sarebbe stato finanziato da Capitalia con tassi da usura. Per il filone Eurolat, Geronzi è stato rinviato a giudizio per estorsione e bancarotta societaria il 5 aprile 2008. Secondo l'accusa, Geronzi avrebbe imposto a Tanzi l'acquisto di Eurolat, società del Gruppo Cirio di Sergio Cragnotti ad un prezzo gonfiato, minacciando di chiudere gli affidamenti bancari. Gli atti del processo sono stati trasferiti da Parma a Roma il 20 giugno perché il reato contestato (estorsione in relazione alla vendita di Eurolat dalla Cirio alla Parmalat) sarebbe stato compiuto a Roma.Il 23 marzo 2010, il gup di Roma, Tommaso Picazio, lo proscioglie dall'accusa di estorsione, mentre decide di affidare alla Cassazione la sentenza riguardante la competenza a svolgere il processo per bancarotta.
* Crac Cirio: il banchiere è indagato di frode riguardo l'emissione e collocamento dei 'bond' Cirio tramite Capitalia.

* Crac Italcase: assoluzione in appello con formula piena "per non aver commesso il fatto"

* Caso Telecom: frode fiscale operata dalla lussemburghese Bell (controllata da Hopa, la merchant bank di Emilio Gnutti partecipata anche da Geronzi).

Altre cariche ricoperte

* Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani S.p.A.;
* Consigliere di Amministrazione di RCS Quotidiani
* Consigliere di Amministrazione della CASPIE (Cassa Autonoma di Assistenza Sanitaria tra il personale dell’Istituto di emissione);
* Membro della Giunta di ASSONIME;
* Membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione “Guido Carli”;
* Membro del Comitato Esecutivo di Aspen Institute Italia;
* Consigliere di Amministrazione della Fondazione Amintore Fanfani;
* Consigliere di Amministrazione della Fondazione per l’Istituto Italiano di Scienze Umane;
* Membro del Consiglio Direttivo della Fondazione di Diritto Vaticano dell’Ospedale Bambino Gesù;
* Consigliere di Amministrazione della Fondazione Cerba.

Riconoscimenti

* Laurea “honoris causa” in Economia e Commercio conferita dall’Università degli Studi di Bari;
* Grande Ufficiale Ordine al merito della Repubblica Italiana;
* Commendatore Sacro Ordine di San Gregorio Magno;
* Croce di Commendatore dell’Ordine al Merito Melitense del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta;
* Honorary Fellow del Tel Aviv Museum of Art.

lunedì, agosto 23, 2010

La crisi europea può essere un'occasione

Tratto dal sito www.ilmanifesto.it: http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20100815/pagina/10/pezzo/284820
Si sta sgonfiando la recovery. Solo i profitti della classe finanziaria, generati per gran parte da processi antiproduttivi, come la guerra, o la distruzione dell'ecosistema, sono in ripresa. Tutto il resto scende: l'occupazione scende, il salario reale scende, e perfino il salario nominale. Scende il consumo e la propensione al consumo, scendono le attese scende la fiducia. Scende per finire l'energia psichica. Nessuno crede più nel futuro radioso del capitalismo, se si eccettua l'Economist naturalmente.

Crollano in Europa le vendite di automobili. I produttori di auto chiedono allo stato di sostenere il settore con incentivi. Nonostante la conclamata adorazione del mercato i produttori di automobili chiedono allo stato di aiutarli a produrre una cosa che il mercato non compra più - e per fortuna, visto che l'oggetto automobile si è da lungo tempo rivelato inquinante, pericoloso e sempre meno capace di svolgere la sua funzione nelle grandi città.

Nel frattempo un tale di nome Marchionne va in giro per il mondo presentandosi come il salvatore dell'industria dell'auto. È difficile capire perché si debba salvare un'industria che produce oggetti ingombranti inutili inquinanti costosi e pericolosi, quando non li vuole comprare più nessuno, almeno in occidente. Tant'è: questo tizio va in giro per il mondo a salvare la produzione automobilistica, costi quel che costi (ma a chi costa?).

Qualche giorno fa questo signore ha incontrato l'agonizzante presidente Obama, reduce da una lista interminabile di rovesci, e in attesa di essere definitivamente imbalsamato dalle elezioni del prossimo novembre. Insieme hanno visitato lo stabilimento della Chrysler, salvata, appunto dal signor Marchionne. Salvata come? direte voi. Ma è semplice. È sufficiente che lo stato (i contribuenti, e prima di tutto i lavoratori) finanzi l'impresa che produce oggetti inutili e destinati a rimanere invenduti, è sufficiente che il salario degli operai venga dimezzato (è il caso della Chrysler per l'appunto, ma è anche il futuro della Fiat trasferita da Mirafiori alla Serbia) e il gioco è fatto. Va detto che a queste condizioni sono capace anche io a fare l'imprenditore, anzi il capitano coraggioso.

Il capitalismo contemporaneo è sistema di produzione dell'inutile a spese della società. Per la comunità sarebbe meno costosa l'erogazione di un salario di cittadinanza per coloro che non trovano lavoro, piuttosto che l'insistenza nel produrre l'inutile in cui si distingue Marchionne.
Il problema è che il salario di cittadinanza presuppone il ribaltamento dei principi che reggono dogmaticamente la costruzione europea: presuppone, come suol dirsi, un nuovo paradigma che sarebbe perfettamente adeguato alla potenza della tecnologia e ai limiti ormai raggiunti e superati della crescita sostenibile, ma del tutto inaccettabile dalla costituzione psichica della società competitiva. E al momento non si vedono da nessuna parte, nella società e nella cultura europea, le energie e l'intelligenza capaci di rovesciare questa situazione, di cogliere l'occasione di una crisi senza vie d'uscita per indicare la via d'uscita da un sistema ossessionato dalla crescita e dalla super-produzione dell'inutile. Eppure la crisi europea imporrà prima o poi con la forza delle cose una riflessione: o si rinuncia al dogma dello scambio salario-lavoro, e al dogma della crescita economica basata sull'automobile e sul petrolio, oppure si rinuncia alla civiltà, al progresso sociale, ai principi che hanno sorretto l'edificio dell'umanesimo moderno. Quella che è stata presentata come crisi finanziaria si sta rivelando come qualcosa di differente: una vera e propria guerra di classe contro il salario e contro il diritto dei lavoratori a vivere la loro vita. La crisi è stata usata per una gigantesca redistribuzione di reddito che dirotta verso il profitto quel che toglie ai lavoratori e alla società, aumentando l'intensità dello sfruttamento e il tempo di lavoro. Sottoposti al ricatto della disoccupazione, sottoposti alla pressione di un esercito di riserva che è diventato mondiale andiamo verso condizioni che si possono definire neo-schiavistiche.

È questo inevitabile? Un editorialista de L'Economist di nome Charlemagne in un articolo del 17 luglio 2010 intitolato Calling time on progress dice che gli europei non vogliono rendersi conto del fatto che il progresso sociale è un mito che ha potuto funzionare per un paio di secoli, ma ora è da dimenticare.

Come dei ragazzini cui venga sottratto il loro giocattolo, dice Charlemagne, i lavoratori europei si lamentano piangono sfilano in corteo. Dal 1789 in poi hanno creduto che fosse possibile la giustizia sociale, e addirittura si sono messi in testa di ridurre il tempo di lavoro, come se la vita fosse destinata a leggere libri viaggiare e far l'amore, invece di crepare nelle miniere possibilmente tra atroci tormenti. Su un punto Charlemagne ha ragione: il progresso moderno è stato possibile grazie alla forza politica dei lavoratori e alla riduzione del tempo di vita destinato al lavoro. Se quella forza è esaurita, o disattivata, allora il progresso è morto.

È il rifiuto del lavoro che ha reso possibile il progresso sociale culturale e tecnologico. Infatti, quando il costo del lavoro sale, quando i lavoratori possono organizzarsi in maniera autonoma, il capitale è costretto a stimolare la ricerca, a investire in tecnologie innovative, per poter sostituire lavoro conseguenza i lavoratori guadagnano tempo libero, e possono destinarlo all'istruzione, ai loro affetti, alla salute. Quanto meno tempo è destinato al lavoro, tanto più la società è capace di curare se stessa.
Ma globalizzazione e neoliberismo hanno ridotto costantemente il costo del lavoro. Di conseguenza si riduce anche l'interesse del capitale a investire nella ricerca e nella tecnologia. Costa meno far lavorare un operaio bengalese clandestino che mettere una carrucola o un servomeccanismo. Comincia allora una vera e propria involuzione tecnologica, una riduzione dell'investimento per la ricerca. La riduzione del costo del lavoro (che ispira le politiche della classe dirigente europea) è una garanzia di regressione a tutti i livelli. Regressione nell'impiego delle tecnologie esistenti, regressione nella ricerca per nuove tecnologie, ma soprattutto regressione nella vita quotidiana della società. In Europa succede proprio questo: la regressione in pochi anni è destinata a provocare barbarie, aggressività, violenza, razzismo, guerra civile interetnica. La sola possibilità di sfuggire a questo destino sta nella capacità di abbandonare l'intero quadro della superstizione economica, con i suoi dogmi di crescita competitiva, affidando il futuro della produzione ai saperi liberi finalmente dal dominio epistemologico del sapere economico, trasformato in un dogma indiscutibile.

La crisi europea è l'occasione per iniziare - proprio qui, dove il modello si è formato nei cinque secoli della modernità - il processo di fuoriuscita dal capitalismo. Ma esistono le condizioni psichiche, culturali perché la soggettività possa esprimersi in forma indipendente? Ogni energia soggettiva autonoma sembra sopita nella società europea. Esplosioni di rabbia e dignità si manifestano, come nel caso di Pomigliano, ma in maniera soltanto difensiva, e senza la capacità di farsi immaginario dilagante, di riattivare la solidarietà e di restituire al piacere di vivere il primato sulla sicurezza e la competizione.

Franco Berardi "Bifo"