domenica, gennaio 15, 2012

La guerra è pace

Tratto da "1984" di George Orwell

«Capitolo III: La guerra è pace
La divisione del mondo in tre grandi superstati era un evento prevedibile, e di fatto venne previsto prima della metà del XX secolo. In seguito all'assorbimento dell'Europa da parte della Russia, e dell'Impero Britannico da parte degli Stati Uniti, erano già nate due delle tre potenze oggi esistenti. La terza, l'Estasia, si formò come entità autonoma dopo un ulteriore decennio di lotte alquanto confuse. Le frontiere fra i tre superstati sono in alcune aree arbitrarie, in altre variano a seconda di quanto producono gli eventi bellici, ma in generale sono fissate da precise coordinate geografiche. L'Eurasia comprende l'intera Europa settentrionale e i territori dell'Asia, dal Portogallo allo stretto di Bering; l'Oceania abbraccia le Americhe, le isole atlantiche, ivi comprese le Isole Britanniche, l'Australasia e le regioni meridionali dell'Africa; l'Estasia, meno estesa delle altre due potenze e con una frontiera occidentale meno definita, comprende la Cina e i paesi a sud di essa, le isole del Giappone e un'ampia seppur fluttuante sezione della Manciuria, della Mongolia e del Tibet.
In una combinazione costantemente variabile, questi tre superstati sono in una condizione di guerra perenne. La guerra, però, non è più una lotta disperata e all'ultimo sangue, come avveniva nei primi decenni del XX secolo. Si tratta invece di conflitti con scopi limitati fra belligeranti incapaci di distruggere il nemico, che non hanno motivi materiali per combattersi e che non sono divisi da differenze apprezzabili sul piano ideologico. Ciò non significa che la condotta di guerra o l'atteggiamento stesso nei confronti della guerra siano diventati meno cruenti o più leali.
Al contrario, in tutti i paesi l'isteria bellica è continua e generalizzata, e azioni come lo stupro, il saccheggio, il massacro di bambini, la riduzione di intere popolazioni in schiavitù, le rappresaglie nei confronti dei prigionieri (che vengono perfino bolliti o bruciati vivi), sono considerate normali e anzi meritorie, sempre che a commetterle non sia il nemico.
Su un piano concreto, comunque, la guerra coinvolge solo un numero esiguo di persone, per la massima parte truppe altamente specializzate, e causa perdite relativamente limitate. I combattimenti, quando ci sono, si verificano in località di frontiera la cui ubicazione è praticamente ignota all'uomo comune, o intorno alle Fortezze Galleggianti poste a guardia di zone strategiche in mare aperto. Nei centri abitati la guerra non significa altro che continue riduzioni dei beni di consumo e dalla caduta occasionale di bombe-razzo che possono causare qualche dozzina di vittime. In realtà, la guerra ha cambiato carattere. Per essere più precisi, è mutato l'ordine gerarchico dei motivi per cui si combatte una guerra. Alcune motivazioni già presenti su piccola scala nelle grandi guerre dei primi decenni del XX secolo sono ora predominanti e sono scientemente riconosciute e perseguite come tali.
Per comprendere la natura della guerra attualmente in corso (in realtà, a dispetto dei diversi schieramenti che si formano a distanza di pochi anni, si tratta sempre della stessa guerra), è innanzitutto necessario capire che essa non può avere una conclusione nel senso proprio del termine.
Nessuno dei tre superstati potrebbe essere conquistato definitivamente, nemmeno se gli altri due si coalizzassero. Le loro strutture sono infatti troppo simili, e troppo forte è l'ostacolo costituito dalle difese naturali.
L'Eurasia è protetta dal suo vastissimo territorio, l'Oceania dall'Atlantico e dal Pacifico, l'Estasia dalla prolificità e laboriosità dei suoi abitanti. In secondo luogo e materialmente parlando, non vi è più nulla per cui combattere. Con l'avvento delle economie autosufficienti, in cui la produzione e il consumo dei beni sono strettamente connessi fra loro, l'aspra
lotta per accaparrarsi nuovi mercati, che era un tempo una delle cause principali dei conflitti armati, è finita, mentre l'accesso alle materie prime non è più una questione di vita o di morte. In ogni caso, ognuno dei tre superstati è vasto abbastanza per produrre al suo interno tutto ciò di cui ha bisogno. Se ammettiamo che la guerra abbia uno scopo economico diretto, esso non può che consistere nella conquista di forza lavoro. Tra le frontiere che separano i tre superstati, pur non appartenendo
in modo permanente ad alcuno di essi, è possibile tracciare una sorta di quadrilatero i cui angoli sono Tangeri, Brazzaville, Darwin e Hong Kong, che ospita circa un quinto della popolazione terrestre. È per il possesso di queste regioni fittamente popolate e della calotta polare nordica che i tre superstati sono in conflitto perenne, ma nessuna delle tre potenze riesce mai ad avere il controllo completo dell'area così definita.
Parti di essa cambiano continuamente di mano, ed è l'eventualità di riuscire a impadronirsi di questa o quella sezione con repentini voltafaccia a dettare i continui mutamenti nella politica delle alleanze.
Tutti i tenitori contesi contengono minerali preziosi, alcuni anche prodotti vegetali importanti, come la gomma, che sotto climi più rigidi è necessario fabbricare sinteticamente mediante procedimenti più o meno costosi. Soprattutto, però, essi contengono una riserva inesauribile di manodopera a basso costo. Chiunque controlli l'Africa equatoriale o i paesi del Medio Oriente, o l'India meridionale, o l'arcipelago indonesiano, può anche disporre dei corpi di decine o centinaia di milioni di lavoratori sottopagati e rotti alla fatica. Gli abitanti di queste regioni, ridotti più o meno esplicitamente alla condizione di schiavi, passano di continuo da un conquistatore all'altro e sono utilizzati, come avviene per il carbone o il petrolio, nella corsa agli armamenti, all'accaparramento di nuove terre, al controllo di una maggiore quantità di manodopera, quindi in un'altra corsa agli armamenti, all'accaparramento di nuove terre, al controllo di una maggiore quantità di manodopera e via discorrendo, all'infinito. Va osservato che i combattimenti si svolgono quasi sempre attorno ai confini delle aree contese. Le frontiere dell'Eurasia si spostano avanti e indietro fra il bacino del Congo e la costa settentrionale del Mediterraneo; le isole dell'Oceano Indiano e dell'Oceano Pacifico sono continuamente perdute e riconquistate dall'Oceania o dall'Estasia; in Mongolia la linea divisoria fra l'Eurasia e l'Estasia non è mai fissa; attorno al
Polo, tutti e tre i superstati rivendicano il possesso di enormi tenitori, per la gran parte deserti e inesplorati. L'equilibrio fra i superstati resta più o meno stabile e il nucleo territoriale di ciascuno di essi rimane inviolato.
Va detto inoltre che il contributo, in lavoro, delle popolazioni sfruttate attorno all'equatore non è in ultima analisi indispensabile per l'economia mondiale. Queste popolazioni non aggiungono nulla alla ricchezza mondiale, dal momento che tutto ciò che producono è utilizzato per fini bellici e che lo scopo di ogni conflitto è sempre quello di poter partire da posizioni di vantaggio nella guerra successiva. Ciò che viene prodotto da queste popolazioni ha l'effetto di accelerare il ritmo di uno stato di guerra ininterrotto, ma se anche non esistessero, le strutture sociali del mondo intero e i processi attraverso cui tali strutture si conservano resterebbero sostanzialmente immutati.
Lo scopo fondamentale della guerra moderna (che, conformemente ai principi del bipensiero, è allo stesso tempo affermato e negato dalle teste pensanti del Partito Interno) è quello di consumare ciò che producono le macchine senza che ne risulti innalzato il tenore di vita. A partire dalla fine del XIX secolo è stato latente, nella società industriale, il problema di come utilizzare i beni di consumo in eccesso. Al giorno d'oggi, quando sono pochi quelli che hanno cibo a sufficienza, un problema del genere, ovviamente, non è urgente e verosimilmente sarebbe stato così anche se non si fosse ricorso a nessun processo di distruzione programmato a tavolino. Paragonato a quello che esisteva prima del 1914, e ancor più se lo si confronta col tipo di futuro che gli uomini di quel tempo speranzosamente si figuravano, il mondo contemporaneo è una landa desolata, un mondo affamato e in rovina. Agli inizi del XX secolo, la visione di una società futura ricca, opulenta, ordinata ed efficiente — un mondo asettico e luccicante, fatto di vetro, acciaio e cemento bianchissimo — era parte integrante della coscienza di qualsiasi persona alfabetizzata. La scienza e la tecnica si sviluppavano a una velocità prodigiosa e sembrava ovvio presupporre che un simile processo non si sarebbe arrestato. Tutto ciò, invece, non si verificò, in parte a causa dell'impoverimento indotto da una lunga serie di guerre e rivoluzioni, in parte perché il progresso scientifico e tecnologico dipendeva da una visione del mondo . empirica, che non poteva sopravvivere in una società strettamente irreggimentata.
Oggi il mondo è complessivamente più primitivo di quanto non fosse cinquant'anni fa. Alcune aree depresse hanno migliorato i loro standard e diversi strumenti tecnici, sempre connessi in qualche modo alla guerra e allo spionaggio poliziesco, hanno conosciuto un certo sviluppo, ma la capacità di sperimentare e di inventare si è praticamente arrestata, mentre le devastazioni prodotte dalla guerra atomica degli anni Cinquanta non sono mai state risanate del tutto. Ciononostante, i pericoli inerenti le macchine non sono affatto scomparsi. Quando le macchine fecero la loro comparsa, ogni essere pensante maturò la convinzione che fosse scomparsa la necessità di qualsiasi lavoro pesante e che contestualmente fosse svanita ogni necessità di preservare l'ineguaglianza fra gli uomini. Se l'impiego delle macchine fosse stato direttamente indirizzato a tal fine, nell'arco di alcune generazioni mali come la fame, il superlavoro, la sporcizia, l'analfabetismo e le malattie sarebbero stati eliminati. Ed effettivamente, pur non venendo usate a tal fine, ma in conseguenza di una specie di processo automatico (producendo ricchezza, cioè, che talvolta risultava impossibile non distribuire), per un periodo di circa cinquant'anni compreso fra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, le macchine innalzarono moltissimo il generale tenore di vita.
Era però altrettanto chiaro che un incremento generalizzato del benessere avrebbe avuto come effetto indesiderato la distruzione di una società organizzata gerarchicamente. Già in un mondo in cui tutti avessero lavorato solo poche ore, avuto cibo a sufficienza, vissuto in case fornite di
bagno e frigorifero, posseduto un'automobile o addirittura un aereo, sarebbero scomparse le forme di ineguaglianza più ovvie e forse più importanti. Una volta, poi, che una simile condizione fosse divenuta generale, la ricchezza non sarebbe stata più un segno di distinzione fra un individuo e l'altro. Era possibile, naturalmente, immaginare una società in
cui la ricchezza, intesa come possesso di beni personali e di lusso, venisse distribuita equamente, nel mentre il potere restava nelle mani di una minuscola casta privilegiata, ma nella pratica una società del genere non avrebbe potuto rimanere stabile. Se, infatti, il benessere e la sicurezza fossero divenuti un bene comune, la massima parte delle persone che di norma sono come immobilizzate dalla povertà si sarebbero alfabetizzate, apprendendo così a pensare autonomamente; e una volta che questo fosse successo, avrebbero compreso prima o poi che la minoranza privilegiata non aveva alcuna funzione e l'avrebbero spazzata via. Sul lungo
termine, una società gerarchizzata poteva aversi solo basandosi sulla povertà e sull'ignoranza. Ritornare al passato agricolo, come avevano auspicato alcuni pensatori all'inizio del XX secolo, era una soluzione impraticabile. Cozzava infatti contro quella tendenza alla meccanizzazione
divenuta pressoché istintiva in quasi tutto il mondo; inoltre, tutti i paesi che non si fossero sviluppati industrialmente sarebbero rimasti indifesi da un punto di vista militare e destinati a essere dominati, direttamente o indirettamente, dai paesi rivali.
D'altra parte, mantenere le masse in uno stato di povertà comprimendo la produzione delle merci non rappresentava una soluzione soddisfacente. Ciò avvenne di fatto e su larga scala durante la fase finale del capitalismo, più o meno nel periodo compreso fra il 1920 e il 1940. Si consentì
all'economia di molti paesi di stagnare, la terra non venne coltivata, le ricapitalizzazioni arrestate, ampi strati della popolazione mantenuti senza occupazione, sorretti unicamente dalla carità dello Stato. Anche questo sistema, però, ebbe come logica conseguenza un indebolimento sul
piano militare e, poiché le privazioni che imponeva erano inutili, l'opposizione a esso divenne inevitabile. Il problema era come riuscire a far girare le ruote dell'industria senza incrementare la ricchezza reale del
mondo. I beni di consumo dovevano essere prodotti, ma non distribuiti.
E in effetti l'unico modo per raggiungere un simile obiettivo era uno stato di guerra perenne.
Scopo essenziale della guerra è la distruzione, non necessariamente di vite umane, ma di quanto viene prodotto dal lavoro degli uomini. La guerra è un modo per mandare in frantumi, scaraventare nella stratosfera, affondare negli abissi marini, materiali che altrimenti potrebbero essere usati per rendere le masse troppo agiate e, a lungo andare, troppo intelligenti. Anche quando gli armamenti non vengono distrutti, la loro produzione continua a essere un mezzo conveniente per utilizzare la forza lavoro senza produrre nulla che sia possibile consumare. Una Fortezza Galleggiante, per esempio, coinvolge una quantità di maestranze che sarebbero sufficienti a costruire centinaia di navi mercantili. Infine, senza che abbia arrecato benefici a chicchessia, viene smantellata e si costruisce un'altra Fortezza Galleggiante, facendo ricorso a ulteriori ed enormi energie umane. In linea di principio, lo sforzo bellico è pianificato
in modo da divorare ogni bene eccedente i bisogni fondamentali della popolazione. In effetti i bisogni della popolazione sono costantemente sottovalutati, con la conseguenza che vi è una carenza cronica di una buona metà dei beni necessari, ma a ciò si guarda come a un vantaggio.
È frutto di un preciso progetto politico mantenere anche i gruppi sociali privilegiati in un regime prossimo alla ristrettezza, perché una condizione di penuria generalizzata rafforza l'importanza dei piccoli privilegi, accentuando così le differenze fra un gruppo e l'altro. A fronte del tenore di vita dei primi anni del XX secolo, perfino un membro del Partito Interno conduce un'esistenza austera quanto laboriosa. Ciononostante, quei pochi lussi di cui gode, l'appartamento spazioso e ben arredato, la migliore qualità degli abiti, del cibo, delle bevande, del tabacco, i due o tre domestici, l'automobile o l'elicottero privati lo collocano in un altro mondo rispetto a un membro del Partito Esterno. A loro volta, i membri del Partito Esterno godono di analoghi vantaggi rispetto a quelle masse sommerse che chiamiamo "prolet". L'atmosfera sociale è quella di una città in stato d'assedio, in cui il possesso di un pezzo di carne equina fa la differenza tra la ricchezza e la povertà. Nello stesso tempo, la consapevolezza di essere in guerra, e quindi in pericolo, fa sì che la concentrazione di tutto il potere nelle mani di una piccola casta sembri l'unica e inevitabile condizione per poter sopravvivere.
Come si vedrà, la guerra non solo realizza l'indispensabile distruzione, ma lo fa rendendola accettabile da un punto di vista psicologico. In linea teorica, sarebbe semplicissimo impiegare la forza lavoro in eccedenza del mondo intero costruendo templi e piramidi, scavando fosse e poi riempiendole di nuovo, o addirittura producendo ingenti quantità di beni per poi darvi fuoco. Tutto ciò, però, garantirebbe solo la base economica di una società organizzata gerarchicamente, non quella emotiva. Ciò dicui qui si discute non è il morale delle masse, i cui atteggiamenti sono irrilevanti finché le si mantiene occupate, ma il morale del Partito stesso.
Perfino dal più umile membro del Partito ci si aspetta che, entro limiti ben definiti, sia abile, attivo e addirittura intelligente, ma è anche indispensabile che sia un fanatico credulo e ignorante, in preda a sentimenti quali la paura, l'odio, l'adulazione e il tripudio orgiastico. In altri termini, è necessario che abbia una mentalità in linea con lo stato di guerra. Nonimporta che la guerra si combatta per davvero e, poiché una vittoria definitiva è impossibile, non importa nemmeno se la guerra vada bene o male: serve solo che uno stato di belligeranza persista. Questa scissionedell'intelligenza, che il Partito chiede ai suoi adepti e alla quale si perviene più agevolmente in un'atmosfera di guerra, è ora quasi generale,ma diviene tanto più accentuata quanto più in alto si sale nei gradi della gerarchia. È proprio nel Partito Interno che l'isteria della guerra e l'odio per il nemico sono più forti. Nella sua qualità di dirigente, è spesso necessario che un membro del Partito Interno sappia che questo o quel particolare relativo alla guerra è falso, in più di un caso può avere coscienza che l'intero conflitto è una mistificazione, che o non esiste affatto o sicombatte per fini del tutto diversi da quelli dichiarati. Una simile consapevolezza è agevolmente neutralizzata dalla tecnica del bipensiero. Nel frattempo nessun membro del Partito Interno vacilla, neanche per un istante, nella sua mistica certezza che la guerra è vera, che avrà per epilogo la vittoria e che l'Oceania sarà la padrona incontrastata del mondo intero.
Tutti i membri del Partito Interno credono in questa prossima conquista come se si trattasse di un articolo di fede. Un simile obiettivo verrà raggiunto o per mezzo di successive conquiste territoriali, da cui discenderà una superiorità assoluta, o in conseguenza della scoperta di qualche nuova arma, alla quale il nemico non potrà contrapporre nulla. La ricercadi nuove armi non conosce soste ed è una delle poche attività residue in cui possa esprimersi una mente creativa o speculativa. Nell'Oceania di oggi la Scienza, come la si intendeva una volta, non esiste più. In neolingua la parola "scienza" manca addirittura. Il metodo empirico, sul quale si basavano tutte le conquiste scientifiche del passato, è in contraddizione coi principi fondamentali del Socing. Ora il progresso tecnologico si realizza solo se quanto esso produce può in qualche modo essere impiegato per ridurre la libertà umana. In tutte le arti che abbiano unaqualche utilità pratica il mondo o si trova in una situazione di stallo, oppure è in fase di regressione. I campi vengono coltivati facendo ricorso all'aratro tirato dai cavalli, mentre i libri sono scritti dalle macchine. E tuttavia nelle questioni di importanza vitale (vale a dire, in tutto ciò che riguarda la guerra e lo spionaggio poliziesco), il metodo empirico viene, se non incoraggiato, tollerato. Il Partito persegue due fini essenziali: conquistare tutta la Terra e distruggere definitivamente ogni forma di libero pensiero. Deve, quindi, risolvere due grossi problemi: il primo consiste nello scoprire, contro la loro volontà, che cosa pensino altri esseri umani, il secondo nel trovare un sistema per uccidere in pochi secondi, con un attacco proditorio, centinaia di milioni di persone. Sono questi icontenuti della ricerca scientifica contemporanea. Oggi esistono due soli tipi di scienziati: da una parte, un essere a metà fra lo psicologo e l'inquisitore, intento a studiare con precisione estrema la mimica facciale, la gestualità, i toni della voce e a sperimentare tutto ciò che induca un essere umano a dire la verità, dai farmaci all'elettroshock, dall'ipnosi alla tortura fisica. Dall'altra, il chimico, il fisico o il biologo, che della sua disciplina specifica utilizza solo quanto serve a togliere la vita. Negli enormi laboratori del Ministero della Pace e in stazioni sperimentali occultate nelle foreste brasiliane o nel deserto australiano o nelle isole più remote dell'Antartide, squadre di esperti sono costantemente all'opera.
Alcuni sono unicamente impegnati nello studiare l'organizzazione di guerre future, altri mettono a punto bombe-razzo sempre più grandi, esplosivi sempre più potenti, sistemi di corazzatura sempre più impenetrabili; altri si sforzano di scoprire gas sempre più letali, di mettere a punto velenosi solubili da produrre in ingenti quantità, in modo da distruggere la vegetazione di continenti interi, o di coltivare germi resistenti a tutti gli anticorpi; altri sono impegnati nella costruzione di un veicolo capace di avanzare sottoterra con la stessa facilità con cui un sottomarino viaggia sott'acqua, o di un aereo autonomo rispetto alla sua base, come una imbarcazione a vela; altri, più temerari, studiano come concentrare e dirigere i raggi solari per mezzo di lenti sospese nello spazio a migliaia di chilometri di distanza dalla Terra o come produrre terremoti e maremoti artificiali sfruttando il calore al centro del pianeta.
Nessuno di questi progetti, tuttavia, riesce a essere attuato, col risultato che nessun superstato conquista posizioni di vantaggio rispetto agli altri due. Ciò che appare maggiormente degno di nota è il fatto che le tre potenze già posseggono nella bomba atomica un'arma che le ricerche in corso difficilmente riusciranno a superare. Anche se il Partito sostiene, com'è sua abitudine, di esserne stato l'inventore, le prime bombe atomiche apparvero all'inizio degli anni Quaranta e furono già usate su larga scala un decennio dopo, quando ne vennero sganciate centinaia sui centri industriali, soprattutto della Russia europea, dell'Europa occidentale e del Nordamerica. I suoi effetti convinsero i gruppi dirigenti di tutti i paesi che il lancio di altre bombe avrebbe significato la fine della società organizzata e quindi del loro stesso potere. A partire da quel momento non furono sganciate altre bombe, anche se non venne sottoscritta né sollecitata alcuna intesa ufficiale. Tutte e tre le potenze continuano a produrre bombe atomiche e a immagazzinarle, nella convinzione che prima o poi si verificherà un evento decisivo che ne imporrà l'uso. Nel frattempo, per un arco di tempo di quaranta, cinquant'anni circa, l'arte della guerra è rimasta al passo. Gli elicotteri si usano oggi più che in passato, i bombardieri sono stati in gran parte soppiantati da proiettili autopropellenti, le navi da guerra, troppo fragili e costrette a un perpetuo movimento, sono state sostituite dalle Fortezze Galleggianti, praticamente inaffondabili, ma in ultima analisi di progressi ce ne sono stati ben pochi. I carri armati, i sottomarini, le mine, le mitragliatrici, perfino i fucili e le bombe a mano, si usano ancora. Inoltre, malgrado le continue carneficine riportate sui giornali e sui teleschermi, sono finite quelle battaglie all'ultimo sangue delle guerre precedenti, in cui in poche settimane morivano centinaia di migliaia o addirittura milioni di uomini.
Nessuno dei tre superatati si lancia mai in avventure che possano implicare il rischio di una seria sconfitta. Quando si intraprende un'azione su larga scala, si tratta di solito di un attacco proditorio lanciato contro un alleato. Non esiste alcuna differenza fra la strategia che le tre potenze seguono o fingono di seguire. Il piano generale, realizzato per mezzo di un intreccio di combattimenti, contrattazioni e tempestivi atti di tradimento, consiste nell'acquisizione di un certo numero di basi che chiudano come in un cerchio questo o quello stato rivale, nella successiva firma di un trattato di pace con detto stato, col quale si resterà in termini di amicizia per un numero di anni sufficienti ad attenuare qualsiasi sentimento di sospetto. Durante questo periodo le testate atomiche potranno essere immagazzinate nei punti strategici, quindi lanciate simultaneamente, con effetti così devastanti da rendere impossibile qualsiasi rappresaglia. Si potrà allora sottoscrivere, in preparazione di un altro attacco, un patto di amicizia con l'altra potenza mondiale. Inutile dire che un progetto del genere è un sogno che non si realizzerà mai. Inoltre, i combattimenti hanno luogo unicamente nelle regioni contese attorno all'equatore e al polo, e in nessun caso si procede a un'invasione del territorio nemico. Ciò spiega per quale motivo alcune frontiere tra i superstati siano aleatorie. L'Eurasia, per esempio, potrebbe conquistare facilmente le Isole Britanniche, che fanno parte della geografia dell'Europa; l'Oceania, per parte sua, potrebbe spingere le proprie frontiere fino al Reno o addirittura fino alla Vistola. Una simile mossa, però, violerebbe il principio, mai dichiarato ma rispettato da ciascuna delle parti, dell'integrità culturale. Se l'Oceania dovesse riuscire a conquistare quelle regioni che una volta erano note col nome di Francia e Germania, si renderebbe necessario sterminarne gli abitanti (un progetto, questo, che porrebbe notevoli problemi pratici) o tentare l'assimilazione di circa cento milioni di persone che, volendoci limitare al solo sviluppo tecnologico, sono su un livello ben diverso da quello dell'Oceania. Il problema si pone nei medesimi termini per tutti e tre i superstati. La loro struttura esige che non vi siano contatti con gli stranieri, con la sola eccezione, comunque limitata, dei prigionieri di guerra e degli schiavi di colore. Perfino l'alleato ufficiale del momento viene visto col massimo sospetto. A parte i prigionieri di guerra, il cittadino qualunque dell'Oceania non vede mai un abitante dell'Eurasia o dell'Estasia, e gli è interdetto l'apprendimento delle lingue straniere. Se gli si consentisse di avere contatti con stranieri, scoprirebbe che sono persone come lui e che la maggior parte di quanto gli è stato detto di loro è pura menzogna. Il mondo chiuso e separato nel quale vive andrebbe in pezzi e potrebbero svanire la paura, l'odio e l'ipocrisia su cui si basa il suo morale. Resta pertanto inteso da tutti i contendenti che la Persia, l'Egitto, Giava o Ceylon possono cambiare cento volte di mano, ma le frontiere principali possono essere attraversate solo dalle bombe.
Tutto ciò sottintende un fatto che non viene mai menzionato esplicitamente ma sul quale si conviene tacitamente e in base al quale si agisce: le condizioni di vita nei tre superstati sono più o meno le stesse. Nell'Oceania il sistema dominante si chiama Socing, in Eurasia Neobolscevismo, mentre per l'Estasia si fa ricorso a un'espressione cinese, di solito tradotta col nome di Culto della Morte, ma che forse si renderebbe meglio con Annullamento dell'Io. Al cittadino dell'Oceania non è permesso di sapere alcunché dei principi che governano gli altri due sistemi, tuttavia gli si insegna a esecrarli come sanguinosi insulti alla morale e al senso comune. In realtà le tre dottrine sono assai simili fra loro, mentre i sistemi sociali che esse informano sono assolutamente identici. Ovunque vigono la medesima struttura piramidale, il medesimo culto di un capo semidivino, la medesima economia che dipende da un continuo stato di guerra e di esso si alimenta. Ne consegue che i tre superstati non solo non possono conquistarsi l'un l'altro, ma non trarrebbero alcun vantaggio se una simile evenienza si realizzasse. Al contrario, finché restano in conflitto fra loro, si sostengono vicendevolmente, come tre covoni di grano. Come al solito, poi, i gruppi dirigenti di tutte e tre le potenze sono al tempo stesso inconsapevoli e coscienti delle loro azioni. Dedicano la loro esistenza alla conquista del mondo, ma sanno anche che è indispensabile che la guerra non cessi mai e che non si raggiunga alcuna vittoria finale. Nel frattempo, il fatto che il rischio di conquiste non esiste, rende possibile quella negazione della realtà che costituisce la caratteristica precipua del Socing e dei sistemi di pensiero che gli si oppongono. È a questo punto necessario ripetere quel che si è detto poc'anzi, e cioè che la guerra, diventando perenne, ha mutato profondamente la propria natura.
In passato la guerra era quasi per definizione qualcosa che prima o poi finiva, in genere sotto forma di vittoria o sconfitta indiscutibili. Nel passato, inoltre, costituiva uno dei sistemi principali attraverso cui le società umane mantenevano un contatto diretto con la realtà. I governanti di tutti i tempi hanno cercato di imporre ai loro sottoposti una falsa visione del mondo, ma non si sono mai potuti permettere di alimentare illusioni tendenti a minare l'efficienza militare. Fino a quando la sconfitta implicava la perdita dell'indipendenza o conseguenze generalmente ritenute indesiderabili, era necessario intraprendere misure forti per evitarla. I fatti concreti non potevano essere ignorati. In filosofia, nella religione, nell'etica o nella politica, poteva anche accadere che due più due facesse cinque, ma quando si trattava di progettare un fucile o un aeroplano, due più due doveva fare quattro. Le nazioni meno forti finivano sempre per essere conquistate, prima o poi, e la lotta per l'efficienza non lasciava spazio alle illusioni. Il possesso di una simile dote, inoltre, consentiva di trarre lezione dal passato, il che implicava a sua volta la necessità di avere una nozione abbastanza accurata di quanto era accaduto. Ovviamente i giornali e i libri di storia avevano ognuno un proprio orientamento politico ed esibivano tutta una serie di pregiudizi, ma la falsificazione delle cose come si pratica oggi sarebbe stata impossibile. La guerra faceva da garante dell'integrità mentale. Anzi, se si prendono in considerazione le classi dirigenti, costituiva la forma di garanzia più solida. Fino a quando le guerre potevano essere vinte o perdute, nessuna classe dirigente poteva ritenersi totalmente irresponsabile degli avvenimenti.
Quando, però, diventa letteralmente continua, la guerra cessa anche di essere pericolosa. Quella che si chiama necessità militare viene a mancare. Il progresso tecnologico può anche arrestarsi, mentre i fatti più concreti possono essere negati o trascurati. Abbiamo visto che per fini bellici si fanno ancora ricerche che si potrebbero definire scientifiche, ma si tratta di fantasticherie o poco più, né ha importanza alcuna che non sortiscano effetti pratici. Dell'efficienza non si ha più bisogno, nemmeno di quella militare. In Oceania nulla funziona, tranne la Psicopolizia. Dal momento che nessuno dei tre superstati può essere conquistato, ognuno di loro costituisce un autentico mondo a parte, all'interno del quale è possibile praticare in tutta sicurezza qualsiasi forma di perversione del pensiero. La realtà esercita il suo peso solo sui bisogni della vita quotidiana: la necessità di mangiare e bere, di avere un tetto, di coprirsi, di non ingoiare veleno, di non cadere da una finestra dei piani alti eccetera.
Vi è ancora differenza fra la vita e la morte, fra il piacere fisico e il dolore fisico, ma questo è tutto. Tagliato fuori da ogni contatto con il mondo esterno e con il passato, il cittadino dell'Oceania è simile a un uomo che si trovi nello spazio interstellare e che non ha la possibilità di sapere dov'è l'alto e dov'è il basso. I governanti di uno stato del genere esercitano un potere assoluto, che non vantavano nemmeno i faraoni e gli imperatori romani. Sono obbligati a fare in modo che i loro seguaci non muoiano di fame in numero tale da costituire un serio problema; per quanto riguarda la tecnica militare, sono tenuti a mantenersi sullo stesso, basso livello dei rivali, ma una volta raggiunto questo minimo, possono riplasmare la realtà a loro piacimento.
Pertanto la guerra, se la si giudica coi criteri dei conflitti passati, è un'autentica impostura. Somiglia a quelle battaglie fra certi ruminanti le cui corna hanno un'angolatura tale che impedisce loro di ferirsi. Pur essendo fasulla, però, la guerra non è priva di significato. Essa divora tutti i beni di consumo in eccedenza e contribuisce a conservare quella speciale disposizione mentale di cui ha bisogno una società organizzata gerarchicamente. Come vedremo, la guerra è oggi un affare puramente interno. In passato i gruppi dirigenti di ogni paese potevano anche riconoscere gli interessi comuni e quindi limitare gli effetti devastanti della guerra, ma si combattevano sul serio: il vincitore saccheggiava sempre il vinto. Al giorno d'oggi nessuno combatte veramente contro un altro.
Oggi i gruppi dirigenti fanno innanzitutto guerra ai propri sottoposti, e il fine della guerra non è quello di conseguire o impedire conquiste territoriali, ma di mantenere intatta la struttura della società. La stessa parola  "guerra" è pertanto divenuta fuorviante. Non si sarebbe probabilmentelontani dal vero se si affermasse che, diventando perenne, la guerra ha cessato di esistere. Quelle particolari forme di pressione subite dagli esseri umani dal neolitico al XX secolo sono scomparse, sostituite da qualcosa di totalmente diverso. Se i tre superstati, invece di combattersi vicendevolmente, stabilissero di vivere in sempiterna pace, ognuno inviolato entro i propri confini, l'effetto sarebbe identico. In tal caso, infatti, ognuno di loro costituirebbe un universo in sé conchiuso, per sempre libero da influssi esterni che potrebbero infiacchirne la fibra. Una pace davvero permanente sarebbe la stessa cosa di una guerra permanente.
Anche se la maggior parte dei membri del Partito l'intendono in modo più superficiale, è questo il vero significato dello slogan "La guerra è pace".»

L'ignoranza è forza


Tratto da "1984" di George Orwell

«Capitolo I: L'ignoranza è forza
Nell'intero corso del tempo, forse a partire dalla fine del Neolitico, sono esistiti al mondo tre tipi di persone: gli Alti, i Medi e i Bassi. Essi si sono ulteriormente suddivisi, ricevendo un numero infinito di nomi diversi, mentre la consistenza di ogni singolo gruppo, così come l'atteggiamento di un gruppo verso l'altro, hanno conosciuto cambiamenti di epoca in epoca. La struttura fondamentale della società è però rimasta inalterata. Perfino dopo sconvolgimenti enormi e dopo mutamenti all'apparenza irreversibili, questo schema si è costantemente riproposto, come un giroscopio che, in qualunque direzione e con qualunque forza lo si spinga, ritorna sempre in perfetto equilibrio. Gli obiettivi di questi tre gruppi sono assolutamente inconciliabili fra loro. Lo scopo principale degli Alti è quello di restare al loro posto, quello dei Medi di mettersi al posto degli Alti. Obiettivo dei Bassi, sempre che ne abbiano uno (è infatti una caratteristica costante dei Bassi essere troppo disfatti dalla fatica per prendere coscienza, se non occasionalmente, di ciò che esula dalle loro esistenze quotidiane), è invece l'abolizione di tutte le distinzioni e la creazione di una società in cui tutti gli uomini siano uguali fra loro. In tal modo nel corso della storia si ripropone costantemente una lotta sempre uguale a se stessa nelle sue linee essenziali. Per lunghi periodi si ha l'impressione che gli Alti siano saldamente al loro posto, ma prima o poi giunge il momento in cui o smarriscono la fiducia in se stessi, o perdono la capacità di governare, o si verificano entrambe le cose. Sono allora rovesciati dai Medi, che attirano i Bassi dalla loro parte fingendo di lottare per la giustizia e la libertà. Conseguito il loro obiettivo, i Medi ricacciano i Bassi alla loro condizione di servaggio, diventando a loro volta Alti. Ben presto da uno dei
due gruppi rimanenti, o da entrambi, ne germina uno nuovo di Medi, e la lotta ricomincia da capo. Dei tre gruppi, soltanto quello dei Bassi non riesce mai a realizzare i propri fini, nemmeno temporaneamente. Sarebbe eccessivo sostenere che nel corso della Storia non ci siano stati miglioramenti materiali di alcun genere. Perfino in un periodo di decadenza quale quello attuale, l'uomo medio si trova in condizioni materiali migliori rispetto a qualche secolo fa, ma nessun incremento nel benessere, nessun addolcimento dei costumi, nessuna riforma o rivoluzione hanno minimamente favorito l'uguaglianza fra gli uomini. Dal punto di vista dei Bassi, ogni mutamento storico ha prodotto solo un cambiamento per quanto riguardava il nome dei loro padroni. Alla fine del XIX secolo il carattere ricorrente di questo schema era diventato ovvio agli occhi di
molti osservatori. Sorsero allora scuole di pensiero che identificarono la Storia con un processo ciclico e sostennero con forza l'idea che l'ineguaglianza fosse una legge inalterabile della vita umana. Una simile teoria aveva sempre avuto i suoi sostenitori, naturalmente, ma era stato introdotto ora un cambiamento significativo nel modo di proporla. In passato erano stati soprattutto gli Alti a farsi assertori della dottrina che proclamava la necessità di una società organizzata gerarchicamente. L'avevano predicata i re, gli aristocratici e i loro parassiti, vale a dire preti, giuristi e personaggi consimili, in genere mitigandola con la promessa di una ricompensa post mortem. Nel corso delle varie lotte per la conquista del potere, i Medi avevano sempre utilizzato termini come libertà, giustizia e fratellanza. Ora, però, il concetto di fratellanza fra gli uomini cominciò a essere attaccato da persone che non avevano ancora posizioni egemoni, ma coltivavano semplicemente la speranza di giungervi quanto prima. In passato i Medi avevano fatto delle rivoluzioni sotto la bandiera dell'uguaglianza, salvo poi imporre una nuova tirannia non appena quella vecchia era stata abbattuta. I nuovi gruppi Medi, invece, manifestavano in anticipo le loro intenzioni tiranniche. Il Socialismo, una teoria apparsa all'inizio del XIX secolo, ultimo anello di una catena di pensiero che risaliva all'indietro fino alle rivolte degli schiavi del mondo antico, era ancora profondamente imbevuto delle tendenze utopistiche del passato. Eppure, in tutte le varianti del Socialismo che comparvero all'incirca dal 1900 in poi, il fine di stabilire la libertà e l'uguaglianza venne negato in maniera sempre più aperta. I nuovi movimenti che fecero la loro comparsa durante la metà del secolo, e cioè il Socing in Oceania, il Neobolscevismo in Eurasia e il Culto della Morte, come lo
chiamano in Estasia, perseguiva in maniera del tutto conscia il fine della mancanza di libertà e della ineguaglianza. Ovviamente questi nuovi movimenti si generarono da quelli precedenti, il più delle volte serbandone il nome e difendendone formalmente l'ideologia. Tutti, però, perseguivano lo scopo di arrestare il progresso e congelare il divenire storico.
La ben nota oscillazione del pendolo doveva verificarsi per una volta ancora, poi il pendolo si doveva fermare. Come al solito, gli Alti dovevano essere cacciati dai Medi; stavolta, però, in conseguenza di una strategia ben programmata, gli Alti sarebbero riusciti a mantenere le loro posizioni per sempre.
La nascita delle nuove dottrine fu favorita in parte dalla sedimentazione della conoscenza storica e dalla crescita del senso della Storia, che prima del XIX secolo quasi non esisteva. Era possibile, adesso, comprendere il movimento ciclico della Storia; e se lo si poteva comprendere, lo si poteva anche alterare. Tuttavia la causa principale, sia pure sottaciuta, dipendeva dal fatto che già a partire dai primi anni del XX secolo l'uguaglianza fra gli uomini era diventata tecnicamente possibile.
Era ancora vero che gli uomini non sono uguali per quanto riguarda le doti naturali e che la specializzazione delle funzioni è una necessità che favorisce alcuni a scapito di altri, ma non erano più indispensabili le distinzioni di classe, né differenze troppo marcate per quanto attiene al benessere. In epoche precedenti, le distinzioni di classe erano state non solo inevitabili ma auspicabili: il prezzo della civiltà era l'ineguaglianza.
Le cose cambiarono con l'introduzione delle macchine. Pur essendo ancora necessario che gli esseri umani facessero tipi di lavoro differenti, non aveva più importanza che vivessero a livelli sociali o economici diversi. Pertanto, dal punto di vista dei nuovi gruppi che stavano per impadronirsi del potere, l'uguaglianza fra gli uomini non era più uno scopo da perseguire ma un pericolo da evitare. In epoche più primitive, quando non era possibile edificare una società giusta e pacifica, era almeno abbastanza facile credere in un simile progetto. Per migliaia di anni l'immaginazione degli uomini era stata ossessionata dall'idea di un paradiso terrestre nel quale tutti vivessero in una condizione di fratellanza, senza leggi e senza il duro lavoro, e un simile sogno aveva fatto presa, almeno
in parte, anche su quei gruppi che in realtà traevano vantaggio da ogni cambiamento storico. Gli eredi delle rivoluzioni francese, inglese e americana avevano in parte creduto alle loro parole d'ordine sui diritti dell'uomo, sulla libertà di espressione, sull'uguaglianza di fronte alla legge e simili, e avevano perfino consentito che, entro certi limiti, la propria condotta ne fosse influenzata. Ma dopo una quarantina d'anni dall'inizio del XX secolo tutte le principali correnti di pensiero avevano conosciuto una svolta autoritaria. Il paradiso terrestre era caduto in discredito proprio quando la sua realizzazione era diventata possibile. Quale che fosse il loro nome, tutte le nuove teorie politiche avevano riesumato la gerarchia e l'irreggimentazione. Nel generale imbarbarimento che si impose intorno al 1930, pratiche che erano state abbandonate, in qualche caso per centinaia di anni — incarcerazioni senza processo, riduzione in schiavitù dei prigionieri di guerra, esecuzioni capitali in pubblico, ricorso alla tortura al fine di estorcere confessioni, uso di ostaggi e deportazione di intere popolazioni —, non solo ridiventarono comuni, ma furono tollerate e perfino difese da persone che si consideravano illuminate e progressiste.
Fu solo dopo un decennio di guerre civili e internazionali, rivoluzioni e controrivoluzioni in tutte le parti del mondo, che il Socing e gli altri sistemi rivali emersero come teorie politiche organiche. I vari sistemi totalitari apparsi all'inizio del secolo ne avevano però lasciato presagire la nascita, e da molto tempo era più che agevole dedurre quale organizzazione mondiale sarebbe potuta emergere dalla generale condizione di caos. Altrettanto ovvio era immaginare quale tipo di persone avrebbe controllato il mondo. La nuova aristocrazia era formata per la massima parte da burocrati, scienziati, tecnici, sindacalisti, esperti in pubblicità, sociologi, insegnanti, giornalisti e politici di professione. Costoro, le cui origini vanno rintracciate nelle classi medie salariate e nei gradi superiori della classe operaia, erano stati plasmati e amalgamati dallo sterile mondo dei monopoli industriali e delle forme centralizzate di governo.
Messi a paragone con i corrispondenti gruppi delle epoche passate, erano meno avidi, meno tentati dal lusso e dal potere in quanto tale; soprattutto, erano maggiormente consci delle loro azioni e più decisi nel loro intento di spazzare via l'opposizione. Quest'ultima differenza era di importanza capitale. Paragonate a quelle di oggi, tutte le tirannie del passato manifestavano una maggiore incertezza e inefficienza. I gruppi dirigenti erano comunque condizionati, almeno fino a un certo punto, da idee liberali, allentavano le briglie qua e là, prendevano in considerazione solo le azioni pubbliche, disinteressandosi di quello che i loro sottoposti pensavano veramente. Rispetto a quanto accade oggi, perfino la Chiesa cattolica medievale si poteva considerare tollerante. A parziale spiegazione di questo fenomeno sta il fatto che in passato non vi era governo che potesse tenere i cittadini sotto un controllo continuo. L'invenzione della stampa, però, rese più semplice manipolare l'opinione pubblica, un processo al quale diedero ulteriore impulso il cinema e la televisione. Il perfezionamento tecnico della televisione, in particolare, consentendo di ricevere e trasmettere simultaneamente immagini attraverso il medesimo strumento, pose fine alla vita privata. Ogni cittadino — almeno ogni cittadino tanto importante da giustificare un simile impegno — poteva essere osservato dalla polizia ventiquattr'ore su ventiquattro, e immerso nel sonoro della propaganda ufficiale, tenendo chiusi tutti gli altri canali di comunicazione. Per la prima volta diveniva possibile indurre nelle coscienze non solo una cieca obbedienza alla volontà dello Stato, ma anche una totale uniformità di opinioni.
Dopo la fase rivoluzionaria degli anni Cinquanta e Sessanta, la società si ricompattò, come al solito, nei gruppi degli Alti, dei Medi e dei Bassi.
Stavolta, però, e a differenza di quelli che li avevano preceduti, gli Alti sapevano perfettamente come agire per conservare le proprie posizioni e non fecero il benché minimo affidamento sull'istinto. Si era ormai capito da tempo che solo il collettivismo poteva garantire all'oligarchia il suo potere. Il benessere e il privilegio si difendono meglio quando sono un bene comune. Con la cosiddetta "abolizione della proprietà privata", introdotta intorno agli anni Cinquanta, si intendeva in realtà la concentrazione della proprietà in mani molto meno numerose che in passato, con questa differenza: che i nuovi padroni non erano più una massa di individui, ma un gruppo ristretto. Preso individualmente, nessun membro del Partito possiede nulla, a esclusione di insignificanti effetti personali.
Collettivamente, però, in Oceania il Partito possiede tutto, perché controlla ogni cosa, disponendo dei beni di produzione come meglio gli aggrada. Negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione era possibile assurgere a questa posizione di dominio senza eccessive difficoltà, perché l'intero processo veniva presentato come un processo di collettivizzazione. Si era sempre tenuto per certo che l'eventuale crollo del capitalismo avrebbe prodotto automaticamente il Socialismo. Sul fatto che i capitalisti fossero stati sconfitti non c'erano dubbi: le fabbriche, le miniere, la terra, le case, i trasporti, tutto era stato loro sottratto e, poiché questi beni non erano più proprietà privata, ne conseguiva che dovessero essere pubblici. Il Socing, che sorse dai primi movimenti socialisti e ne ereditò la fraseologia, non ha fatto altro che tradurre in pratica l'istanza di fondo del Socialismo, con il risultato, scientemente previsto e programmato, che l'ineguaglianza economica è diventata permanente.
Ma la questione di come fare per perpetuare una società gerarchica è più complessa. Esistono solo quattro modi perché un gruppo dirigente perda il potere: che sia sconfitto dall'esterno, che governi in maniera tanto inefficiente da spingere le masse alla rivolta, che consenta la formazione di un gruppo di Medi forte e animato dallo scontento, che perda la fiducia in se stesso e la voglia di governare. Tali fattori non sono mai attivi singolarmente, anzi nella gran parte dei casi entrano in gioco tutti e quattro contemporaneamente. Una classe dirigente capace di salvaguardarsi da tutti questi fattori resterebbe al potere in eterno. In fin dei conti, a risultare determinante è l'atteggiamento mentale della classe dirigente.
Dopo gli anni Cinquanta, il primo pericolo era praticamente scomparso. Ognuno dei tre stati che ora si spartiscono il mondo è in effetti inconquistabile: potrebbe correre un simile rischio solo attraverso lenti mutamenti demografici, che però un governo fornito di ampi poteri può agevolmente prevenire. Anche il secondo pericolo è puramente teorico.
Le masse non si ribellano mai in maniera spontanea, e non si ribellano perché sono oppresse. In realtà, fino a quando non si consente loro di poter fare confronti, non acquisiscono neanche coscienza di essere oppresse. Le periodiche crisi economiche del passato erano del tutto inutili e infatti oggi non si consente che si verifichino. È possibile che intervengano altri ostacoli, ugualmente rilevanti, ma non sortiscono alcun effetto da un punto di vista politico, perché il malcontento non ha alcun mezzo per esprimersi. Quanto al problema della sovrapproduzione, latente nella nostra società fin dal primo sviluppo delle macchine, lo si è risolto con lo stratagemma della guerra perenne (vedi cap. III), utile anche per mantenere il morale pubblico al livello desiderato. E pertanto, dal punto di vista dei nostri attuali governanti, gli unici pericoli veri sono rappresentati dalla nascita, in seguito a spaccature interne al Partito, di un gruppo di persone sottoutilizzate e assetate di potere, e dalla comparsa fra i propri ranghi di sentimenti liberali e scettici. Il problema, in altri termini, riguarda l'istruzione formale. Si tratta di rimodellare di continuo la coscienza sia del gruppo dirigente sia del più ampio gruppo operativo collocato a un livello immediatamente inferiore. La coscienza delle masse, per parte sua, può essere influenzata solo in maniera negativa.
Da tutte queste premesse, e ammettendo che non la conosca già, chiunque potrebbe dedurre la struttura generale della società dell'Oceania. Al vertice della piramide c'è il Grande Fratello. Egli è infallibile e potentissimo. Si dà per acquisito che ogni successo, ogni conquista, ogni vittoria, ogni scoperta scientifica, tutto il sapere, tutte le conoscenze, tutta la saggezza, tutte le virtù derivino direttamente dalla sua guida e dal suo stimolo. Nessuno ha mai visto il Grande Fratello. È un volto sui manifesti, una voce che viene dal teleschermo. Possiamo essere ragionevolmente certi che non morirà mai. Già adesso non si sa con certezza quando sia nato. Il Grande Fratello è il modo in cui il Partito sceglie di mostrarsi al mondo. Ha la funzione di agire da catalizzatore dell'amore, della paura e della venerazione, tutti sentimenti che è più facile provare per una singola persona che per un'organizzazione. Al di sotto del Grande Fratello c'è il Partito Interno, che comprende circa sei milioni di persone, che è come dire un po' meno del 2 per cento della popolazione dell'Oceania. Dopo il Partito Interno viene il Partito Esterno che, se paragoniamo quello Interno alla mente, può essere considerato il braccio dello Stato. E infine viene la massa silenziosa di coloro che abitualmente chiamiamo "prolet", che comprende all'incirca l'85 per cento della popolazione. Se ci rifacciamo alla tripartizione che abbiamo indicato prima, i prolet sono i Bassi. Le popolazioni asservite delle terre equatoriali, che passano di continuo da un conquistatore all'altro, non costituiscono, infatti, una sezione stabile o necessaria della struttura.
In linea di principio, l'appartenenza a uno di questi tre gruppi non è un fatto ereditario. In teoria il figlio di genitori affiliati al Partito Interno non ne è automaticamente membro di diritto. L'ammissione all'una o all'altra categoria del Partito avviene in base a un esame, che si sostiene all'età di sedici anni. Non esiste, inoltre, discriminazione razziale di sorta, né un dominio di una provincia su un'altra. Nei ranghi più elevati del Partito si ritrovano ebrei, negri, sudamericani purosangue, mentre gli  amministratori di una determinata area sono sempre scelti fra i cittadini  del posto. Non vi è regione dell'Oceania in cui gli abitanti abbiano la sensazione di essere una colonia governata da una capitale lontanissima.
L'Oceania non ha una capitale, e alla sua testa vi è una persona che nessuno sa dove si trovi. A eccezione del fatto che l'inglese ne è la lingua franca e la neolingua quella ufficiale, in Oceania non vi è centralizzazione. Coloro che la governano non sono legati fra loro da vincoli di sangue ma dall'adesione a una dottrina comune. È però vero che la nostra società è stratificata, altamente stratificata, secondo linee che a prima vista appaiono ereditarie. Fra i diversi gruppi vi è meno movimento verso l'alto o verso il basso di quanto ve ne fosse all'epoca del capitalismo o in età preindustriale. Un certo interscambio fra le due categorie del Partito esiste, ma solo quanto basta a escludere dal Partito Interno i soggetti più deboli e a rendere inoffensivi i membri più ambiziosi del Partito Interno consentendo loro di salire al livello superiore. In pratica i proletari non possono accedere al Partito: i più dotati, che potrebbero eventualmente raccogliere attorno a sé il malcontento, sono semplicemente individuati dalla Psicopolizia ed eliminati. Questo stato di cose, tuttavia, non è di
per sé permanente. Non si tratta neanche di questioni di principio. Il Partito non costituisce una classe nel vecchio senso della parola, tendente a trasmettere il potere ai propri figli in quanto tali: se non vi fossero altri mezzi per tenere i più capaci ai livelli più alti, il Partito sarebbe prontissimo a reclutare un'intera generazione dalle file del proletariato. Negli anni cruciali, il fatto che il Partito non fosse un corpo ereditario fu molto utile per neutralizzare l'opposizione. Il socialista di vecchio stampo, addestrato a lottare contro qualcosa che si chiamava "privilegio di classe", riteneva per certo che tutto ciò che non fosse ereditario non potesse essere permanente. Non capiva che la continuità di un'oligarchia non ha bisogno di essere fisica, né si soffermava sul fatto che le aristocrazie ereditarie hanno sempre avuto vita breve, laddove organizzazioni a carattere adottivo, come la Chiesa cattolica, sono talvolta durate centinaia o migliaia di anni. L'essenza del governo oligarchico non è l'eredità che passa di padre in figlio, ma la persistenza di una determinata visione del mondo e di un determinato modello di vita, che i morti impongono ai vivi.
Un gruppo dirigente è tale finché ha la possibilità di nominare i propri  successori. Al Partito non interessa perpetuare il proprio sangue, ma se stesso. Non è importante chi detenga il potere, purché la struttura gerarchica resti immutata.
Tutte le convinzioni, i costumi, i gusti, le emozioni, gli atteggiamenti mentali che caratterizzano il nostro tempo sono stati in realtà programmati al solo fine di sostenere la mistica del Partito e di impedire che venga colta la vera natura della società contemporanea. Una rivolta vera e propria, o qualcosa che si avvicini a essa, è al momento impossibile.
Da parte dei proletari, in particolare, non vi è nulla da temere: abbandonati a se stessi, continueranno — generazione dopo generazione, secolo dopo secolo — a lavorare, generare e morire, privi non solo di qualsiasi impulso alla ribellione, ma anche della capacità di capire che il mondo potrebbe anche essere diverso da quello che è. Potrebbero diventare pericolosi solo se il progresso tecnico-industriale rendesse indispensabile alzare il livello della loro istruzione ma, poiché la concorrenza in campomilitare e commerciale non è più importante, il livello di istruzione della popolazione sta in effetti peggiorando. Ciò che le masse pensano o non pensano incontra la massima indifferenza. A loro può essere garantita la libertà intellettuale proprio perché non hanno intelletto. A un membro del Partito, invece, non è consentito spostarsi di un millimetro dalla linea fissata, neanche in questioni del tutto irrilevanti.
Dalla nascita alla morte ogni membro del Partito vive sotto l'occhio della Psicopolizia. Anche quando è solo non può mai essere sicuro di essere solo. Dovunque si trovi, che dorma o sia sveglio, che lavori o riposi, che sia in bagno o a letto, può essere scrutato senza preavviso, addirittura ignorando di essere spiato. Nulla di quello che fa è privo di importanza. Le sue amicizie, gli svaghi, il suo modo di comportarsi con la moglie e i figli, l'espressione del volto quando si trova da solo, le parole che mormora nel sonno, perfino i movimenti del corpo che gli sono più abituali, sono minuziosamente analizzati. Non vi sono dubbi che arrivino a scoprire non solo ogni trasgressione autentica, ma qualsiasi gesto eccentrico, per quanto infimo, qualsiasi mutamento delle abitudini, qualsiasi tic nervoso che potrebbe essere il sintomo di un conflitto interiore. Il membro del Partito non ha alcuna libertà di scelta, in nulla. D'altra parte, le sue azioni non sono regolate dalla legge o da un qualsiasi codice di comportamento chiaramente formulato. In Oceania non esistono leggi.
Pensieri e azioni che, una volta scoperti, si traducono in morte sicura non sono proibiti in maniera esplicita: in realtà, i continui arresti, epurazioni, torture, incarcerazioni e vaporizzazioni non sono inflitti per punire delitti effettivamente commessi, ma per spazzar via persone che forse, in un futuro imprecisato, potrebbero commettere un crimine. Un membro del Partito non deve avere soltanto le opinioni giuste, ma anche gli istinti  giusti. Gran parte delle convinzioni e dei comportamenti che gli vengono richiesti non sono esplicitati con chiarezza: ove ciò avvenisse, ne risulterebbero smascherate le contraddizioni intrinseche al Socing. Se è un ortodosso nato (in neolingua: un buonpensante), saprà in ogni circostanza, senza neanche stare a riflettere, qual è l'opinione giusta o il tipo di emozione richiesta. In ogni caso, una sofisticata pratica mentale, avviata già nell'infanzia e che si può immaginare concentrata attorno alle parole in neolingua stopreato, nerobianco e bipensiero, lo rendono refrattario e inetto ad approfondire troppo un qualsiasi argomento.
A un membro del Partito si richiedono l'assenza di emozioni personali e un entusiasmo perenne. Da lui ci si aspetta che viva di continuo in uno stato di odio parossistico nei confronti dei nemici esterni e dei traditori interni, di giubilo per le vittorie e di automortificazione davanti al potere e alla saggezza del Partito. Il malcontento prodotto dalla sua esistenza disadorna e insoddisfacente viene scientemente proiettato all'esterno e poi dissolto per mezzo di trucchi come i Due Minuti di Odio, mentre la disciplina interna appresa nei primi anni di vita provvede a liquidare in anticipo ogni riflessione che potrebbe produrre atteggiamenti scettici o eversivi. Il primo e più semplice stadio di questa pratica, che può essere insegnato anche ai bambini, si chiama in neolingua stopreato, e implica la capacità di arrestarsi, come per istinto, sulla soglia di qualsiasi pensiero pericoloso. Comprende anche la capacità di non cogliere le analogie, di non percepire gli errori di logica, di fraintendere le argomentazioni più elementari quando sono contrarie al Socing, oltre a quella di provare noia o ripulsa di fronte a un qualsiasi pensiero articolato che potrebbe portare a posizioni eretiche. In parole povere, lo stopreato è una forma di stupidità protettiva. La stupidità, però, non è sufficiente. Al contrario, l'ortodossia nel senso più pieno del termine richiede un controllo completo dei propri processi mentali, simile a quello che un contorsionista ha del proprio corpo. L'Oceania si basa in fin dei conti sulla convinzione che il Grande Fratello sia onnipotente e che il Partito sia infallibile. Tuttavia, poiché il Grande Fratello non è onnipotente e il Partito non è infallibile, c'è bisogno di una flessibilità, instancabile e sempre
pronta a entrare in azione, nel modo di trattare i fatti. Qui la parola chiave è nerobianco. Come tante altre parole in neolingua, questa parola.
abbraccia due significati che si negano a vicenda. Applicata a un qualsiasi termine di confronto, sottolinea l'abitudine di affermare, con la massima impudenza e a dispetto dell'evidenza, che il nero è bianco. Applicata a un membro del Partito, indica la sincera volontà di affermare che il nero è bianco quando a richiederlo sia la disciplina di partito. Indica, però, anche la capacità di credere veramente che il nero sia bianco e, più ancora, di sapere che il nero è bianco, dimenticando di aver mai pensato il contrario. Tutto ciò impone una continua alterazione del passato, resa possibile da quel sistema di pensiero che effettivamente abbraccia  dentro di sé tutto il resto e che è noto in neolingua come bipensiero.
L'alterazione del passato è necessaria per due motivi, uno dei quali è integrativo e, per così dire, precauzionale. Il motivo precauzionale consiste nel fatto che il membro del Partito, così come il proletario, sopporta le sue condizioni attuali perché non dispone di termini di confronto. È indispensabile escluderlo da ogni rapporto col passato e con i paesi stranieri, affinché sia convinto che le sue condizioni di vita siano migliori  rispetto a quelle dei suoi avi e che il benessere materiale sia in costante ascesa. La manipolazione del passato ha però uno scopo di gran lunga più importante: salvaguardare l'infallibilità del Partito. Discorsi, dati statistici e documenti di ogni genere debbono essere continuamente aggiornati per dimostrare innanzitutto che le previsioni del Partito erano sempre e comunque giuste, ma anche perché non è possibile ammettere cambiamenti di dottrina o di linea politica. Cambiare opinione, o addirittura linea politica, è infatti un segno di debolezza. Volendo fare un esempio, se l'Eurasia o l'Estasia (è del tutto indifferente che si tratti dell'una o dell'altra) è il nemico di oggi, allora quella nazione deve essere sempre stata nemica. E se i fatti lo negano, bisogna cambiare i fatti. In tal modo la Storia viene continuamente riscritta. L'attuale falsificazione del passato posta in essere dal Ministero della Verità è indispensabile alla stabilità del regime allo stesso modo in cui lo è l'attività di repressione e spionaggio portata avanti dal Ministero dell'Amore.
La mutabilità del passato è il cardine stesso del Socing. Gli eventi trascorsi, si argomenta, non posseggono un'esistenza oggettiva, ma sopravvivono solo nei documenti scritti e nella memoria degli uomini. Il passato è quanto viene riconosciuto dai documenti e dalla memoria dei singoli individui. Ora, poiché il Partito detiene a un tempo il controllo integrale  di tutti i documenti e delle menti dei suoi affiliati, ne consegue che il passato è ciò che il Partito decide essere tale. Ne consegue pure che,  sebbene il passato sia modificabile, non esiste un caso specifico che porti il segno di questo mutamento. Infatti, una volta che sia stata data al passato la forma ritenuta necessaria nel momento contingente, la nuova versione dei fatti è il passato, e non può mai esserne esistito uno diverso.
Ciò vale perfino nei casi in cui, come spesso accade, il medesimo avvenimento deve essere radicalmente modificato più volte nel corso di un anno. Il Partito è in ogni circostanza il detentore dell'assoluto, e l'assoluto non può mai essere diverso da ciò che è in quel dato momento. Si vedrà che il controllo del passato dipende soprattutto da una sorta di addestramento della memoria. Fare in modo che tutti i documenti scritti siano conformi all'ortodossia del momento è un atto puramente meccanico. È però anche necessario ricordare che gli avvenimenti specifici hanno avuto luogo in quel modo desiderato. Se poi si deve dare un nuovo ordine a ciò che si ricorda o falsificare i documenti scritti, diviene necessario dimenticare di aver agito in quel modo. Si tratta di uno stratagemma che può essere appreso come qualsiasi altra tecnica mentale. Certamente lo apprendono quasi tutti i membri del Partito e tutte le persone intelligenti e perfettamente osservanti dell'ortodossia. In archelingua un simile procedimento viene definito, in maniera affatto esplicita, "controllo della realtà"; in neolingua viene detto bipensiero, anche se questo termine abbraccia molto altro.
Il bipensiero implica la capacità di accogliere simultaneamente nella propria mente due opinioni tra loro contrastanti, accettandole entrambe.
L'intellettuale di Partito sa in che modo vanno trattati i suoi ricordi. Sa quindi di essere impegnato in una manipolazione della realtà, e tuttavia la pratica del bipensiero fa sì che egli creda che la realtà non venga violata. Un simile procedimento deve essere conscio, altrimenti non potrebbe essere applicato con sufficiente precisione, ma al tempo stesso ha da essere inconscio, altrimenti produrrebbe una sensazione di falso e quindi un senso di colpa. Il bipensiero è l'anima del Socing, perché l'azione fondamentale del Partito consiste nel fare uso di una forma consapevole di inganno, conservando al tempo stesso quella fermezza di intenti che si accompagna alla più totale sincerità. Raccontare deliberatamente menzogne e nello stesso tempo crederci davvero, dimenticare ogni atto che nel frattempo sia divenuto sconveniente e poi, una volta che ciò si renda di nuovo necessario, richiamarlo in vita dall'oblio per tutto il  tempo che serva, negare l'esistenza di una realtà oggettiva e al tempo stesso prendere atto di quella stessa realtà che si nega, tutto ciò è assolutamente indispensabile. Perfino quando si usa la parola bipensiero è necessario ricorrere al bipensiero. Nel farne uso, infatti, si ammette di manipolare la realtà, ma con un novello colpo di bipensiero si cancella questa consapevolezza, e così via, all'infinito, con la menzogna in costante posizione di vantaggio rispetto alla verità. In fin dei conti, è per mezzo del bipensiero che il Partito è riuscito (e, per quanto ne sappiamo, una simile impresa potrebbe andare avanti per migliaia d'anni) ad arrestare il corso della Storia.
Tutte le oligarchie del passato sono crollate o quando si sono sclerotizzate o quando si sono ammorbidite: o diventavano stupide e arroganti, non riuscendo a adattarsi al mutamento e quindi venendo rovesciate, oppure diventavano pavide e liberali, facevano concessioni là dove avrebbero dovuto usare la forza e anche in questo caso venivano rovesciate.
Crollavano, in altri termini, per eccesso di consapevolezza o di inconsapevolezza. È merito del Partito essere riuscito a creare un sistema in cui
entrambe le condizioni possono coesistere. Nessun altro fondamento intellettuale avrebbe potuto rendere sempiterno il dominio del Partito. Se si desidera governare e si vuole continuare a farlo, si deve avere la capacità di condizionare il senso della realtà. Il segreto del comando, infatti, sta nel saper unire alla fede nella propria infallibilità la capacità di imparare dagli errori passati.
Naturalmente, i virtuosi del bipensiero sono gli stessi che lo hanno inventato, i quali sono ben consapevoli che si tratta di un vasto sistema basato sulla capacità di ingannare la mente. Nella nostra società, quelli che sanno perfettamente ciò che sta succedendo sono anche quelli che meno riescono a vedere il mondo così com'è. In generale, più si sa, più grande è la delusione: il più intelligente è anche il meno sano di mente. Una chiara esemplificazione di ciò è data dal fatto che l'isteria di guerra aumenta d'intensità a mano a mano che si sale nella scala sociale. Quelli che hanno di fronte alla guerra l'atteggiamento più chiaro e razionale sono le popolazioni asservite dei tenitori contesi. Ai loro occhi la guerra non è altro che una continua calamità che passa e ripassa sui loro corpi come l'onda di una marea. Chi vinca li lascia del tutto indifferenti. Essi sanno bene che un mutamento nell'identità dei dominatori significa soltanto che faranno le stesse cose di prima per padroni che li tratteranno nello stesso modo dei precedenti. Quei lavoratori appena appena più favoriti, che chiamiamo "prolet", solo a tratti hanno coscienza di che cosa sia la guerra. Quand'è necessario, è possibile spingerli a parossismi di paura e di odio, ma una volta lasciati a se stessi, sono capaci di dimenticarsi per lunghi periodi che c'è una guerra in corso. È nei ranghi del Partito, e soprattutto nel Partito Interno, che si rinviene il vero e proprio furore bellico. Alla possibilità di conquistare il mondo credono con la massima fermezza proprio quelli che sanno che si tratta di un progetto irrealizzabile. Questa particolare commistione di opposti (conoscenza e ignoranza, cinismo e fanatismo) è uno dei segni distintivi della società oceanica. L'ideologia ufficiale è stracolma di contraddizioni, anche là dove non ve n'è alcuna necessità pratica. In tal modo il Partito respinge e mortifica tutti i principi che erano in origine alla base del movimento socialista, e ha scelto di farlo proprio in nome del Socialismo. Predica un disprezzo per la classe operaia che non ha riscontri nei secoli passati e fa indossare ai suoi membri un'uniforme che una volta era tipica dei lavoratori manuali, adottata per questo specifico motivo. Conduce attacchi sistematici al senso di solidarietà proprio della famiglia e chiama il suo capo con un nome che fa direttamente appello al sentimento della lealtà familiare. Perfino i nomi dei quattro Ministeri che ci governano manifestano una sorta di impudenza nel loro deliberato stravolgimento dei fatti.
Il Ministero della Pace si occupa della guerra, il Ministero della Verità fabbrica menzogne, il Ministero dell'Amore pratica la tortura, il Ministero dell'Abbondanza è responsabile della generale penuria di beni. Queste contraddizioni non sono casuali, né si originano dalla semplice ipocrisia: sono meditati esercizi di bipensiero. È infatti solo conciliando gli opposti che diviene possibile conservare il potere all'infinito. Non esiste altro modo per rompere il vecchio ciclo. Se si vuole allontanare per sempre l'uguaglianza fra gli uomini, se gli Alti, come li abbiamo definiti, intendono restare per sempre al loro posto, allora la condizione mentale dominante deve coincidere con una follia tenuta sotto controllo.
Vi è però un'ulteriore domanda, che fino a questo momento abbiamo quasi ignorato, ed è la seguente: perché si deve impedire l'uguaglianza fra gli uomini? Presupponendo che la dinamica del processo sia stata descritta correttamente, qual è il motivo alla base di questo sforzo immenso e accuratamente pianificato di congelare la Storia in un particolare momento del suo sviluppo?
A questo punto siamo arrivati al segreto di fondo. Come abbiamo visto, la mistica del Partito, e soprattutto quella del Partito Interno, si basa sul bipensiero. Ma dietro di esso vi è il vero motivo, l'istinto irriflesso che portò in origine alla conquista del potere e diede vita al bipensiero, alla Psicopolizia, allo stato di guerra ininterrotta e a tutti gli annessi e connessi successivi. Il vero motivo è...»