venerdì, giugno 11, 2010

Sovranità Monetaria: che fare?

Tratto da: http://www.marcocappato.it

SOVRANITA' MONETARIA e QUESTIONE DEL SIGNORAGGIO

Domanda di :

Salve marco cappato.

Qual'è la posizione dei radicali in merito alla quesitone del signoraggio bancario e in politica monetaria in genere?

Risposta:

Non c'e' una "posizione, e nemmeno delle specifiche iniziative, se non nel tentativo di vedere piu' chiaro (attraverso interrogazioni parlamentari) nella composizione del debito pubblico e di chi ci lucra sopra, oppure nel ritorno al carattere pubblicistico della Banca d'Italia. Personalmente la questione mi interessa molto e ho provato ad approfondirla. Pur condividendo le perplessita' sui meccanismi di tassazione dei cittadini sotto forma di "inflazione da debito pubblico", non ho ancora trovato un'iniziativa politica da intraprendere.

mercoledì, giugno 09, 2010

In morte di Giacomo Matteotti

Tratto da: http://www.gennarodestefano.it/art0424.asp, articolo pubblicato su Oggi, n. 51, anno 2000.

Matteotti fu ucciso perché
scoprì le mazzette di Mussolini
«Le carte dei servizi segreti americani», conferma lo storico Mauro Canali, «dimostrano gli interessi del Duce in un losco affare petrolifero» - «Le camicie nere furono finanziate dalla Standard Oil» - «E il deputato socialista si apprestava a denunciare quello scandalo»

di Gennaro De Stefano
Roma, dicembre
Quello che vi raccontiamo è un intricato giallo storico alla cui soluzione lavorano da anni storici e ricercatori e il cui epilogo susciterà polemiche. Ma, al termine di questa inchiesta, possiamo dire che esistono ragionevoli motivi, costruiti su prove documentali, per ritenere che Mussolini ordinò l’uccisione di Giacomo Matteotti (il 10 giugno 1924) perché aveva scoperto il giro di tangenti versate al Duce dalla compagnia petrolifera americana Standard Oil. Ed emerge, sempre da prove documentali, che Mussolini accumulò una fortuna all’estero prima e durante la guerra.
La nostra ricerca è partita dal libro Ciano, l’ombra di Mussolini, del giornalista americano Ray Moseley, corrispondente da Londra del Chicago Tribune. A pagina 205, l’autore scrive: «Alcuni documenti conservati nell’Archivio nazionale degli Stati Uniti hanno rivelato che Galeazzo Ciano aveva nascosto milioni di pesos in Argentina e, assieme a Mussolini, aveva depositato segretamente altri fondi in Svizzera». A Oggi, Moseley spiegò che conosceva l’esistenza dei documenti che costituivano la prova di questa verità, ma che non li aveva mai visti e non era riuscito a entrarne in possesso.

“Il capo del
governo accantonò
l’enorme somma
di 3 mila miliardi”
“Galeazzo Giano
aveva nascosto in
Argentina
milioni di pesos”

A quel punto, l’unica strada era quella di estendere le ricerche a New York. In sintonia con il World Jewish Council, alla fine siamo riusciti a ottenere le fotocopie delle carte più significative dei servizi segreti americani, di cui s’era già parlato anni fa, e che pubblichiamo per la prima volta in esclusiva. Si tratta di materiale cartaceo, sotto il titolo Flight of Italian Capital (Mussolini), la cui attendibilità è indiscutibile.

Il Duce, sostengono gli americani, costituì una fortuna all’estero, ma non ebbe modo di utilizzarla né poterono farlo i suoi discendenti. Verrebbe a cadere, così, una delle apologie che il postfascismo ha sempre coltivato: Mussolini, fucilato a Dongo e poi appeso a testa in giù in piazzale Loreto, morì povero, tanto che dalle sue tasche non cadde neppure un centesimo. La verità, secondo gli americani, sarebbe invece un’altra: il Duce avrebbe accantonato enormi somme di denaro provenienti da una colossale «Tangentopoli nera», durata tutto il ventennio, che avrebbe visto protagonisti, assieme a lui, nomi altisonanti della gerarchia fascista, della nobiltà nera e persino di Casa Savoia: da re Vittorio Emanuele III, che avrebbe nascosto la bellezza di 1.638 miliardi (valore di oggi), a gerarchi come Grandi, Farinacci e Marinotti.

Il primo brogliaccio che abbiamo visionato, datato 23 gennaio 1945 e siglato J.S., recita così: «Il giornale Il Lavoro Svizzero ha citato una dichiarazione del Bulletin de Crédit e de Fìnance secondo il quale le banche sviz- zere hanno circa 300 milioni di franchi [pari a circa 17.550 miliardi di oggi, ndr] appartenenti a 70 italiani, includendo 28 milioni del Re e 25 del Conte Volpi di Misurata».

Ma un altro rapporto dell’Oss, la Cia degli anni ’40, è ancora più preciso e indica le modalità utilizzate dal Duce per nascondere capitali all’estero assieme al gene- ro, poi fucilato a Verona, il conte Galeazzo Ciano. Sotto l’intestazione Hjalmar Schacht si legge: «E stato riferito in modo attendibile che Hjalmar Schacht, della Reich- bank [la banca centrale tedesca sotto il nazismo, ndr], fu in segreto contatto tra il 1937 e il ’41 con un avvocato, L.F. Meyer, i cui uffici sono in Aldigens-Wildertstrasse, 6 a Lucerna.

«Meyer», prosegue il documento, «fu usato come copertura da Castiglioni, un banchiere viennese, consi- gliere finanziario personale di Mussolini. Lo scopo di questa copertura fu quello di nascondere gli investimen- ti di danaro nella raffineria di petrolio grezzo (Ipsa) appar- tenente a Mussolini, Ciano e allo stesso Castiglioni».

E nel documento 650.3/SH-O del 4 aprile 1945, in- dirizzato al segretario di Stato americano, sotto la voce Fuga di capitali italiani, si legge: «Il Dipartimento ha ordi- nato una indagine per confermare un rapporto dell’agen- zia sovietica Tass, riguardante una grossa somma di da- naro e altri valori che sono stati trasferiti nelle banche svizzere da Mussolini e dai suoi complici».

A questo punto, non ci restava che interpellare uno tra i maggiori studiosi del fascismo, allievo del professor Renzo De Felice, il massimo conoscitore di Mussolini e del regime, e sottoporgli la documentazione in nostro possesso. E il professor Mauro Canali, autore di una ponderosa ricerca intitolata Il delitto Matteotti, è stato esplicito: «Il documento di cui mi parla, quello nel quale è citata la Ipsa, è di notevole importanza storica. Innan- zitutto devo dire che questi documenti hanno un’attendi- bilità elevatissima, perché sono indirizzati al segretario di Stato americano da Allen Dulles, capo dell’Oss in Europa, che operava prevalentemente in Svizzera proprio in quegli anni. Ma la cosa più sorprendente è che la Ipsa, nella quale Mussolini aveva forti interessi, altro non è che la Siap [anagramma di Ipsa, ndr], filiale italiana della Standard Oil americana, requisita dal Duce come bene appartenente a Paese nemico.

«L’importanza storica di questa rivelazione sta nel fatto che viene dimostrata una inquietante continuità degli interessi personali di Mussolini, nel petrolio, che vanno dal delitto Matteotti alle ultime fasi della Repubblica di Salò», ricorda lo studioso. «I figli di Matteotti riconoscevano valida l’ipotesi che, dietro l’omicidio del padre, vi fosse il timore che il deputato socialista stesse per rivelare i retroscena dello scandalo Sinclair Oil. Si trattava di una compagnia prestanome della Standard Oil, cui Mussolini aveva confermato il monopolio della commercializzazione in Italia dei prodotti petroliferi, ma cui aveva anche concesso i diritti esclusivi per lo sfruttamento dei giacimenti rinvenuti in Italia, accompagnando tutto ciò con una serie incredibile di agevolazioni fiscali. I familiari di Matteotti hanno sempre sospettato che mandante dell’omicidio fosse re Vittorio Emanuele, secondo loro proprietario di quote della Sinclair. Invece, io sono giunto alla conclusione che fu proprio Mussolini, che aveva intascato tangenti direttamente da questa operazione, a ordinare l’eliminazione del suo avversario politico. Il fatto che gli americani avessero individuato nella Ipsa la società con la quale Mussolini gestiva i profitti dell’estrazione del petrolio conferma un dato importante del consolidamento della sua posizione personale e del movimento fascista.

Quel traffico di
denari illeciti
continuò sino alla
fine della guerra

«Sia chiaro», spiega il professor Canali, «le cifre astronomiche contenute nei rapporti americani non si possono giustificare solo con tangenti sul petrolio; capitali così ingenti furono il frutto di operazioni più ampie. Ma il documento scoperto da Oggi costituisce sicuramente un tassello di grande importanza per successivi approfondimenti».

Cifre enormi, sostiene il professor Canali, e ha ragione; 17.550 miliardi è, secondo i documenti dello spionaggio americano, la somma portata all’estero, prima e durante la seconda guerra mondiale, da settanta «benemeriti» cittadini italiani. E su tutti spicca il nome di Benito Mussolini, la cui fortuna ammonterebbe a ben 2.500 miliardi di lire al valore attuale.

Il famoso tesoro del Duce, dunque, non è una leggenda, né può essere individuato nella paccottiglia conservata per 50 anni nei sotterranei del ministero del Tesoro. Il «bottino» vero sarebbe al sicuro nei forzieri elvetici e in quelli argentini. Si tratta di soldi dei cittadini italiani, una ricchezza che non ritornerà mai più nel nostro Paese e sulla quale nessuno potrà mai mettere le mani. Le somme custodite in conti cifrati, infatti, sono state assorbite dalle banche dove vennero depositate e dove nessuno potrà mai più reclamarne la proprietà. Ma tutta la vicenda ha fortissime connotazioni di intrigo internazionale. Nel ’97, infatti, ben quattro incendi hanno distrutto buona parte dei documenti consegnati dagli svizzeri agli Stati Uniti e conservati negli archivi americani. E il sospetto fondato è che dietro gli incendi vi sia la mano delle banche elvetiche che, dopo aver mantenuto per anni un atteggiamento di durissima chiusura nei confronti di quanti chiedevano di conoscere i nomi degli intestatari dei conti correnti, erano state messe con le spalle al muro e avrebbero dovuto restituire il denaro ai legittimi proprietari (come accaduto per gli ebrei).

Le somme dei
conti cifrali non
potranno più
essere recuperate

Nel caso del Duce, allo Stato italiano. Gli incendi hanno distrutto ben ottomila casse di documenti; ne sono rimaste solamente 3.500.

Cade quindi il mito apologetico del «Puzzone» che non avrebbe intascato una lira di pubblico danaro: «Nel mio libro sulla genesi del delitto Matteotti», precisa lo storico, «sono riuscito a dimostrare almeno tre tangenti sicure e non è certo facile trovare le prove materiali della corruzione. Una prima tranche di quasi 40 miliardi di lire attuali venne versata dalla Standard Oil ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. C’è poi una lettera del commissario straordinario delle Ferrovie, incaricato di vendere i residuati bellici della prima guerra mondiale, che scrive a Mussolini:

“Ho dimostrato
l’esistenza
di almeno tre
grosse tangenti”
“Le 250 mila lire [circa 400 milioni attuali, ndr] che ebbi a consegnarvi poche sere or sono provengono da una vendita di materiali esistenti in magazzini di corpo d’armata”. E Mussolini, sull’appunto, verga la parola “riservatìssimo”. Vi sono poi altre sicure tangenti, come una di 750 mila lire [circa un miliardo di oggi, ndr] fatta passare per donazione a un istituto per ciechi». Nella nostra ricerca abbiamo rinvenuto un ultimo documento riservato, del dicembre 1944. Si tratta di un’informativa sui conti e gli investimenti in Argentina di esponenti di spicco dei regimi dell’Asse. Si fanno i nomi dei gerarchi nazisti Eckhart Neumann, Goering e Von Ribbentrop. Ma anche di Ciano e della figlia del Duce, Edda: «Un ufficiale dell’ambasciata fu informato da una fonte attendibile che il governo argentino, nel corso di una indagine fiscale sulla società tessile Denubio, scoprì che il capitale della società era intestato a Galeazzo Ciano e al generale tedesco Guderian. Viene anche riferito che, sebbene il capitale fosse di 2 milioni di pesos. la società ebbe poi un profitto di 9 milioni durante l’ultimo anno fiscale».

Ma perché sarebbe stata scelta l’Argentina per riciclare i soldi trafugati agli italiani? Probabilmente perché il Paese sudamericano, all’epoca così florido da ospitare milioni di nostri connazionali, era disponibile, oltre a dare asilo ai gerarchi nazisti fuggiti dalla Germania dopo il tracollo del regime, anche a reinvestire i capitali in fondi comuni che ne moltiplicassero il valore. David Berger, primo segretario dell ambasciata di Washington in Argentina ed estensore del rapporto, rivela: «Un attendibile informatore ha affermato che Edda Mussolini sta cercando di andare in Argentina per incassare i beni del marito che sono presumibilmente in possesso di Victor Caldani, editore del quotidiano Il Mattino d’Italia». E in Argentina andò a vivere anche Vittorio, figlio di Mussolini.

L’ipotesi di un arricchimento del Duce è stata sempre respinta dalla famiglia che, in realtà, dopo la guerra non visse certo nell’agiatezza, tranne Edda, che ereditò dal marito ben 95 appartamenti a Roma. Donna Rachele ebbe la pensione di vedova di un presidente del Consiglio solo dopo una lunga controversia legale con lo Stato italiano; Romano ha sempre vissuto del suo lavoro di stimato jazzista. È quindi comprensibile l’atteggiamento dei Mussolini ogni volta che si avanza il sospetto. Restano i documenti che pubblichiamo e le conferme di un autorevole studioso.

La speranza che quel fiume di denaro uscito illegalmente dal nostro Paese possa tornare in Italia è molto remota. Ma la verità storica forse oggi è più vicina.

Gennaro De Stefano