sabato, febbraio 12, 2011

Esercitiamo la memoria / 1

LA PADANIA, 26 aprile 1998

ESCLUSIVO / Decima puntata della nostra inchiesta sull'Imi-Sir.
Novità sulla Banca Rasini: "Il divo Giulio"
Andreotti & la banca dei mafiosi a Milano
La baronessa Maria Cordopatri svela un segreto custodito da dieci anni

di Max Parisi

Roma«Ho letto il suo servizio comparso domenica sulla Padania, e ho notato che le mancano, Parisi, alcune fondamentali informazioni che spiegano molte cose. Sono stata correntista della Banca Rasini dal 1980 al 1989...» Alt!Per la prima volta in assoluto nella storia travagliatissima di questo istituto di credito siculo-milanese, qualcuno di molto importante ha deciso di rompere il silenzio. È la baronessa Maria Giuseppina Cordopatri. Non più tardi di 4 giorni fa - via fax - mi ha inviato una lunga lettera che inizia con le parole che avete appena letto. «Ero titolare di due conti correnti nonché di un fido di oltre 100 milioni circa il quale non mi erano mai state chieste garanzie di sorta perché venni presentata all'allora presidente e direttore generale dottor Dario Azzaretto da amici del vero proprietario del pacchetto azionario di maggioranza della banca. Formalmente era intestato alla famiglia Azzaretto, ma nella realtà era controllata da Giulio Andreotti. Il commendator Giuseppe Azzaretto, padre di Dario, era all'epoca uomo di fiducia di Andreotti. Il punto saliente, ai fini della sua inchiesta giornalistica, che non è stato evidenziato è che quando la mafia siciliana si impossessa della Banca Rasini, la banca è già di Andreotti. Lasciai la Banca Rasini quando la lasciarono gli Azzaretto, cui subentrò, mi fu detto, una società svizzera».Innanzitutto un "dettaglio" a questo punto davvero inquietante: le inchieste di mafia degli anni 1981-'84 condotte a Milano da un valoroso vicequestore, Antonio Fiori, approdarono a processi contro i boss - tra i quali Luigi Monti e Antonio Virgilio - che portarono a pesanti condanne in primo e in secondo grado di giudizio. Nelle sentenze che ancora oggi è facile rintracciare (sono atti pubblici) era prevista la confisca dei beni di mafia, inclusi ovviamente i capitali in contanti. Ebbene, alcuni di questi soggetti - quelli finanziariamente più rilevanti - avevano conti e depositi presso la Banca Rasini e anche quei soldi - decine di miliardi - sarebbero passati dal sequestro alla confisca se... non fosse entrato in scena il presidente della Prima Sezione della Corte di Cassazione, dottor Corrado Carnevale. Grazie al verdetto definitivo da lui firmato in Cassazione, venne "cancellato" l'intero impianto accusatorio contro Monti e Virgilio e tutti i beni mobili e immobili vennero resi ai loro degni proprietari. Questa decisione di Carnevale ancora oggi grida vendetta, ma assume una luce tutta nuova quando si apprende - come sostiene l'ex correntista della Banca Rasini, la baronessa Cordopatri - che questo istituto di credito era posseduto, nel momento in cui accadono queste loschissime vicende, da Giulio Andreotti. Se Corrado Carnevale entra in scena "salvando" dal disastro due potenti finanzieri correntisti della Banca Rasini, a questo punto, date le importanti novità emerse ora, il motivo della sua azione potrebbe avere un fondamento ben più profondo. Così pure l'entrata in scena di Nino Rovelli - avvenuta nei tardi Anni Ottanta - assumerebbe un significato estremamente speciale, se si pensa che a vendere furono sì gli Azzaretto, ma per interposta persona Giulio Andreotti, che era stato per tutti gli anni Settanta gran patron e sponsor politico della Sir, tanto che Rovelli "ricambiò" i favori in denaro contante, più di un miliardo, "negoziato" sia da gangster della banda della Magliana sia da oscuri faccendieri dell'entourage andreottiano. Quei soldi, oltretutto, sono alla base dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, tanto che a Perugia è in corso un processo a carico di Andreotti e Vitalone proprio su questi fatti.Quindi la Rasini sarebbe stata di Andreotti. Quindi i boss di mafia che ebbero - perché è ovvio che la ebbero - l'autorizzazione ad aprire conti correnti in questo istituto di credito annidato nel cuore di Milano, iniziarono le loro "attività" bancarie in una banca con tale padrone! Capite? Questi intrecci, queste proprietà occulte, questo immenso verminaio per quello che si può capire dalle devastanti dichiarazioni della signora Cordopatri, credo possano e debbano interessare la Procura di Palermo e quella di Perugia.Il gigantesco mosaico della Sir riserva colpi di scena ogni giorno che passa.Anche la presenza dell'avvocato Ungaro, come abbiamo scritto domenica scorsa, tra i vertici della Rasini dal 14 dicembre del 1973, a questo punto assume un rilievo straordinario. Nel 1977 l'avvocato romano Mario Ungaro si rese responsabile di un'azione che vista oggi, dopo i fatti appena noti, assume anch'essa un significato eccezionale: nel gennaio del 1977 il bancarottiere Sindona scrive ad Andreotti, affidando la consegna della missiva all'avvocato Mario Ungaro! Ecco alcuni passaggi della lettera indirizzata ad Andreotti: «Lei - scrive Sindona di suo pugno - dovrebbe fare qualcosa almeno in Italia, e precisamente: sollecitare la Banca d'Italia per la sostituzione di Ambrosoli; ridimensionare il comportamento del giudice istruttore e del pubblico ministero che dopo tre anni non sono riusciti a prendere alcun provvedimento conclusivo, eccezion fatta per il mandato di cattura; trovare una soluzione per la Banca Privata Italiana, sollecitando gli interessati, tale da far cadere il presupposto dei reati fallimentari». (pagg. 569-70 del Volume delle "Relazioni" della Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Sindona -ndr). L'avvocato Ungaro, per conseguenza, gode - visto il contenuto della lettera di Sindona - di totale fiducia dello scrivente, ma anche del destinatario, altrimenti un messaggio di questo tenore finito in "mani sbagliate" avrebbe potuto decretare la fine politica dello stesso leader democristiano. È questo genere di personaggio quindi l'avvocato Ungaro seduto nel Cda della Rasini dalla settimana che precedette il Natale del '73.Ora, come fosse una ciliegia avvelenata su questa torta già al cianuro, vediamo cosa disse della Rasini... Michele Sindona in persona. Ormai ridotto a un carcerato senza più alcuna speranza di libertà nonostante l'attendesse ancora il processo in Italia per l'omicidio Ambrosoli (fu condannato all'ergastolo), nel 1984, in galera negli Stati Uniti, Sindona incontrò Nick Tosches, un giornalista del New York Times. La loro frequentazione continuò anche l'anno successivo, il 1985, nei mesi di maggio, agosto e settembre. Questa volta Sindona parlò al cronista americano mentre si trovava detenuto in Italia nel carcere di Voghera. Da questa lunga frequentazione a cavallo di due anni e di un oceano, scaturì un libro, scritto ovviamente da Tosches, intitolato "Il mistero Sindona".A pagina 111 di quest'opera, sta scritto: «Come sai - Sindona sta rispondendo a una domanda di Tosches - le mie banche italiane erano istituti di prim'ordine con soci di prim'ordine. La Banca Privata Italiana era una banca dell'aristocrazia. La mafia invece si serve sempre di istituti e professionisti di second'ordine». Detto questo, Tosches aggiunge: «Sindona socchiuse gli occhi con espressione scaltra. Quali sono le banche usate dalla mafia? Sindona prese tempo. È una domanda pericolosa, rifletté. In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in Piazza dei Mercanti». Alt!La piccola banca di piazza dei Mercanti alla quale accennò Sindona poco prima di essere "suicidato" in carcere, era la Banca Rasini. Non ci sono dubbi. In piazza dei Mercanti a Milano, a due passi dal Duomo, solo la "piccola banca" Rasini apriva i suoi sportelli nel 1985 quando Sindona rese questa sua dichiarazione a Tosches. In tutta quella piazza non c'era altro istituto di credito che avesse la sede o semplicemente un'agenzia. Attaccando la Rasini, Sindona, ergastolano, cosa intese fare? Quale minacciosissimo segnale di fredda vendetta per non essere stato "salvato" volle lanciare? A chi era indirizzato questo accenno a una sua più ampia confessione che avrebbe scatenato un pandemonio? La baronessa Cordopatri non ha dubbi: la Banca Rasini era amministrata da Giuseppe e Dario Azzaretto "per conto di Giulio Andreotti". Se le cose stanno così, allora tutto quadra e un paio di processi in corso dovrebbero essere rivisti con l'aggiunta di questi fatti, e anche gli eredi di Nino Rovelli dovrebbero offrire nuove spiegazioni.(continua domenica 3 maggio).


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