giovedì, settembre 09, 2010

La campagna di Obama contro la scuola pubblica

Tratto da www.retescuole.it: http://www.retescuole.net/contenuto?id=20100903192626
L'amministrazione Obama e i media intensificano la campagna per ritenere "responsabili" gli insegnanti

di Tom Carter

Nelle settimane passate, l'amministrazione Obama, con il sostegno a squarciagola dei media controllati, ha lanciato una campagna contro gli insegnanti della scuola pubblica, incolpandoli del fallimento del sistema educativo degli USA.

Questa campagna propagandistica ha come suoi obiettivi principali la giustificazione di licenziamenti di massa di insegnanti, di svariati schemi di privatizzazione e di ampi tagli alla spesa mascherati da "incentivi" come parte del cosiddetto programma “Race to the Top”.

L'amministrazione Obama, avendo dissipato trilioni nella guerra e nei salvataggi di Wall Street, è decisa che la classe lavoratrice dovrebbe pagare per la crisi economica, incluso attraverso riduzioni nella pubblica istruzione.

A condurre la campagna è il segretario all'istruzione Arne Duncan, l'ex "amministratore delegato" delle Scuole Pubbliche di Chicago ed allievo della macchina del Partito Democratico di Chicago. All'inizio di questa settimana, Duncan è stato spedito ad un giro del "Coraggio in classe" in quattro stati, durante il quale si è congratulato con quegli stati che avevano più servilmente introdotto le "riforme" regressive richieste dall'amministrazione Obama.

Nel frattempo, Duncan ha continuato a reclamare "responsabilità" e "trasparenza" per gli insegnanti. Secondo Duncan, per il fallimento del sistema educativo USA non devono essere incolpati decenni di tagli di bilancio e di cattiva amministrazione ma gli insegnanti che adempiono miseramente al loro ruolo.

Duncan ha espressamente appoggiato la recente pubblicazione da parte del Los Angeles Times della "classifica del valore aggiunto" degli insegnanti, compresi i nomi dei docenti, basata sul rendimento degli studenti su prove standardizzate. "Sono un energico sostenitore della trasparenza", ha dichiarato Duncan. "Mettiamo fuori i dati sugli abbandoni, sull'iscrizione al college, sul completamento del college, sui tassi di inadempimento sui prestiti e su tutti gli altri tipi di dati che possono aiutarci a evidenziare il nostro eccezionale successo e aiutarci a comprendere meglio perché troppi dei nostri figli sono impreparati".

Duncan soprintende al cosiddetto programma “Race to the Top” intrapreso dall'amministrazione Obama. Il programma offre vari doni e incentivi agli stati per imporre "riforme" dell'istruzione richieste dall'amministrazione Obama, come privatizzare l'istruzione espandendo le charter school. Agli stati stessi—già disperati per finanziamenti—viene richiesto di competere l'uno con l'altro per i miseri fondi federali.

Gli stati che soddisfano le richieste reazionarie di Duncan e dell'amministrazione Obama sono intitolati ad una quota degli insignificanti $4 miliardi del denaro del “Race to the Top”. Per fare un paragone, il costo totale dei salvataggi di Wall Street è stato stimato a $23 trilioni, ovvero più di 5.700 volte tanto.

Il 24 agosto, l'amministrazione Obama ha rivelato che fin qui il District of Columbia e 13 stati si erano qualificati per il programma, compresi Delaware, Florida, Georgia, Hawaii, Maryland, Massachusetts, New York, North Carolina, Ohio, Rhode Island e Tennessee. Vistosi nella loro assenza dalla lista sono California e Michigan, dove le condizioni delle scuole sono particolarmente disperate.

Le richieste per aumentate charter school e per collegare il finanziamento al rendimento degli studenti su prove standardizzate sono state sollevate in precedenza dai repubblicani e incorporate del famigerato programma “No Child Left Behind” di George W. Bush. Una indicazione evidente della traiettoria verso destra dell'establishment politico USA è che l'amministrazione Obama ha incluso quelle stesse richieste nel suo aggressivo programma di "riforma" dell'istruzione. Chester Finn, assistente segretario all'istruzione sotto Ronald Reagan, ha raccontato a csmonitor.com che i repubblicani sono "senza parole ... non vi è nulla su cui vogliano litigare con Duncan".

Particolarmente vergognoso è stato il ruolo dei media USA nella settimana passata nell'attaccare gli insegnanti e nel promuovere i programmi di "riforma" dell'istruzione di Obama. Vi sono tutte le ragioni per credere che gli altri dirigenti delle grandi società dei medi stiano coordinando i loro sforzi con l'amministrazione Obama. A guidare il branco è il Los Angeles Times, che recentemente ha lanciato una grande rapporto speciale di "Classificazione degli insegnanti", presentando attacchi quotidiani agli insegnanti. Numerosi altri organi d'informazione si sono comportati nello stesso modo: la CNN ha lanciato un programma "Sistemare le nostre scuole", mentre la ABC ha lanciato "Crisi in classe".

Questa settimana, il Los Angeles Times ha provocatoriamente pubblicato i dati su 6.000 singoli insegnanti, completi di classifiche di "valore aggiunto" secondo il rendimento degli studenti su prove standardizzate. Duncan, da parte sua, ha incoraggiato la pubblicazione di questi dati da parte di altri quotidiani in giro per il paese.

L'utilizzo della terminologia "valore aggiunto" fa parte del tentativo per imporre i principi del profitto aziendale nella pubblica istruzione.

Un insegnante di Los Angeles ha paragonato le "classifiche" sul Los Angeles Times all'essere costretti a portare una "lettera scarlatta". Molti insegnanti hanno osservato che le classifiche prodotte paragonando i risultati delle prove degli studenti ha poca relazione con l'abilità dell'insegnante. Le prove standardizzate a scelta multipla esaminano uno stretto spettro di abilità come matematica, vocabolario e comprensione della lettura. Il pensiero critico, la scrittura, la creatività, la consapevolezza storica e culturale e la capacità artistica sono completamente ignorate. Un insegnante ha osservato che un docente potrebbe inavvertitamente abbassare la sua "classifica" permettendo agli studenti che hanno delle difficoltà di trasferirsi nella sua classe, come fanno molti eccellenti insegnanti.

La campagna dell'amministrazione Obama contro gli insegnanti è iniziata con un discorso che lo stesso Obama ha dato il 29 luglio, nel quale richiedeva "qualche misura di responsabilità" per gli insegnanti. Obama ha dichiarato che "anche se applaudiamo agli insegnanti per il loro duro lavoro, dobbiamo essere certi di vedere risultati in classe. Se non vediamo risultati in classe, allora lavoriamo con gli insegnanti per aiutarli a diventare più efficaci".

"Se questo non funziona", ha aggiunto Obama in modo minaccioso", troviamo l'insegnante giusto per quella classe".

Le richieste di "responsabilità" dell'amministrazione Obama sono assoluta ipocrisia e dovrebbero essere respinte con disprezzo. Sotto Obama, non vi è nessuna "responsabilità" per quei politici che hanno promulgato i tagli di bilancio che hanno devastato l'istruzione pubblica e i programmi sociali.

Non vi è nessuna "responsabilità" per gli alti generali e i politici che hanno autorizzato e organizzato crimini di guerra e tortura. Non vi è nessuna "responsabilità" per alti dirigenti, banchieri, investitori e finanzieri la cui sconsiderata spinta al profitto ha aggravato immensamente la crisi economica. Nel frattempo, gli insegnanti della scuola pubblica, molti dei quali fanno sforzi eroici per sollevare i cuori e le menti dei giovani contro ostacoli tremendi, devono essere "ritenuti responsabili".

lunedì, settembre 06, 2010

Cos'è questo golpe? Io so

Corriere della Sera, 14 novembre 1974

Cos'è questo golpe? Io so

di Pier Paolo Pasolini

Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.

Pier Paolo Pasolini

Il vuoto del potere

Corriere della Sera, 1 febbraio 1975

"Il vuoto del potere" ovvero "l'articolo delle lucciole"

di Pier Paolo Pasolini

La distinzione tra fascismo aggettivo e fascismo sostantivo risale niente meno che al giornale "Il Politecnico", cioè all'immediato dopoguerra..." Così comincia un intervento di Franco Fortini sul fascismo ("L'Europeo, 26-12-1974): intervento che, come si dice, io sottoscrivo tutto, e pienamente. Non posso però sottoscrivere il tendenzioso esordio. Infatti la distinzione tra "fascismi" fatta sul "Politecnico" non è né pertinente né attuale. Essa poteva valere ancora fino a circa una decina di anni fa: quando il regime democristiano era ancora la pura e semplice continuazione del regime fascista. Ma una decina di anni fa, è successo "qualcosa". "Qualcosa" che non c'era e non era prevedibile non solo ai tempi del "Politecnico", ma nemmeno un anno prima che accadesse (o addirittura, come vedremo, mentre accadeva).
Il confronto reale tra "fascismi" non può essere dunque "cronologicamente", tra il fascismo fascista e il fascismo democristiano: ma tra il fascismo fascista e il fascismo radicalmente, totalmente, imprevedibilmente nuovo che è nato da quel "qualcosa" che è successo una decina di anni fa.
Poiché sono uno scrittore, e scrivo in polemica, o almeno discuto, con altri scrittori, mi si lasci dare una definizione di carattere poetico-letterario di quel fenomeno che è successo in Italia una decina di anni fa. Ciò servirà a semplificare e ad abbreviare il nostro discorso (e probabilmente a capirlo anche meglio).
Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta).
Quel "qualcosa" che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque "scomparsa delle lucciole".
Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono confrontare tra loro, implicandone una certa continuità, ma sono diventate addirittura storicamente incommensurabili. La prima fase di tale regime (come giustamente hanno sempre insistito a chiamarlo i radicali) è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase è quella che va dalla scomparsa delle lucciole a oggi. Osserviamole una alla volta.

Prima della scomparsa delle lucciole
La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completa e assoluta. Taccio su ciò, che a questo proposito, si diceva anche allora, magari appunto nel "Politecnico": la mancata epurazione, la continuità dei codici, la violenza poliziesca, il disprezzo per la Costituzione. E mi soffermo su ciò che ha poi contato in una coscienza storica retrospettiva. La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale.
Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano. Tale gestione del Vaticano era possibile solo se fondata su un regime totalmente repressivo. In tale universo i "valori" che contavano erano gli stessi che per il fascismo: la Chiesa, la Patria, la famiglia, l'obbedienza, la disciplina, l'ordine, il risparmio, la moralità. Tali "valori" (come del resto durante il fascismo) erano "anche reali": appartenevano cioè alle culture particolari e concrete che costituivano l'Italia arcaicamente agricola e paleoindustriale. Ma nel momento in cui venivano assunti a "valori" nazionali non potevano che perdere ogni realtà, e divenire atroce, stupido, repressivo conformismo di Stato: il conformismo del potere fascista e democristiano. Provincialità, rozzezza e ignoranza sia delle "élites" che, a livello diverso, delle masse, erano uguali sia durante il fascismo sia durante la prima fase del regime democristiano. Paradigmi di questa ignoranza erano il pragmatismo e il formalismo vaticani.
Tutto ciò che risulta chiaro e inequivocabilmente oggi, perché allora si nutrivano, da parte degli intellettuali e degli oppositori, insensate speranze. Si sperava che tutto ciò non fosse completamente vero, e che la democrazia formale contasse in fondo qualcosa. Ora, prima di passare alla seconda fase, dovrò dedicare qualche riga al momento di transizione.

Durante la scomparsa delle lucciole
In questo periodo la distinzione tra fascismo e fascismo operata sul "Politecnico" poteva anche funzionare. Infatti sia il grande paese che si stava formando dentro il paese - cioè la massa operaia e contadina organizzata dal PCI - sia gli intellettuali anche più avanzati e critici, non si erano accorti che "le lucciole stavano scomparendo". Essi erano informati abbastanza bene dalla sociologia (che in quegli anni aveva messo in crisi il metodo dell'analisi marxista): ma erano informazioni ancora non vissute, in sostanza formalistiche. Nessuno poteva sospettare la realtà storica che sarebbe stato l'immediato futuro; né identificare quello che allora si chiamava "benessere" con lo "sviluppo" che avrebbe dovuto realizzare in Italia per la prima volta pienamente il "genocidio" di cui nel "Manifesto" parlava Marx.

Dopo la scomparsa delle lucciole
I "valori" nazionalizzati e quindi falsificati del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più. Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più. E non servono neanche più in quanto falsi. Essi sopravvivono nel clerico-fascismo emarginato (anche il MSI in sostanza li ripudia). A sostituirli sono i "valori" di un nuovo tipo di civiltà, totalmente "altra" rispetto alla civiltà contadina e paleoindustriale. Questa esperienza è stata fatta già da altri Stati. Ma in Italia essa è del tutto particolare, perché si tratta della prima "unificazione" reale subita dal nostro paese; mentre negli altri paesi essa si sovrappone con una certa logica alla unificazione monarchica e alla ulteriore unificazione della rivoluzione borghese e industriale. Il trauma italiano del contatto tra l'"arcaicità" pluralistica e il livellamento industriale ha forse un solo precedente: la Germania prima di Hitler. Anche qui i valori delle diverse culture particolaristiche sono stati distrutti dalla violenta omologazione dell'industrializzazione: con la conseguente formazione di quelle enormi masse, non più antiche (contadine, artigiane) e non ancor moderne (borghesi), che hanno costituito il selvaggio, aberrante, imponderabile corpo delle truppe naziste.
In Italia sta succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggiore violenza, poiché l'industrializzazione degli anni Settanta costituisce una "mutazione" decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant'anni fa. Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi", ma a una nuova epoca della storia umana, di quella storia umana le cui scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana, l'avevo amata: sia al di fuori degli schemi del potere (anzi, in opposizione disperata a essi), sia al di fuori degli schemi populisti e umanitari. Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque "coi miei sensi" il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiani, fino a una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo fascista, periodo in cui il comportamento era completamente dissociato dalla coscienza. Vanamente il potere "totalitario" iterava e reiterava le sue imposizioni comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata. I "modelli" fascisti non erano che maschere, da mettere e levare. Quando il fascismo fascista è caduto, tutto è tornato come prima. Lo si è visto anche in Portogallo: dopo quarant'anni di fascismo, il popolo portoghese ha celebrato il primo maggio come se l'ultimo lo avesse celebrato l'anno prima.
È ridicolo dunque che Fortini retrodati la distinzione tra fascismo e fascismo al primo dopoguerra: la distinzione tra il fascismo fascista e il fascismo di questa seconda fase del potere democristiano non solo non ha confronti nella nostra storia, ma probabilmente nell'intera storia.
Io tuttavia non scrivo il presente articolo solo per polemizzare su questo punto, benché esso mi stia molto a cuore. Scrivo il presente articolo in realtà per una ragione molto diversa. Eccola.
Tutti i miei lettori si saranno certamente accorti del cambiamento dei potenti democristiani: in pochi mesi, essi sono diventati delle maschere funebri. È vero: essi continuano a sfoderare radiosi sorrisi, di una sincerità incredibile. Nelle loro pupille si raggruma della vera, beata luce di buon umore. Quando non si tratti dell'ammiccante luce dell'arguzia e della furberia. Cosa che agli elettori piace, pare, quanto la piena felicità. Inoltre, i nostri potenti continuano imperterriti i loro sproloqui incomprensibili; in cui galleggiano i "flatus vocis" delle solite promesse stereotipe. In realtà essi sono appunto delle maschere. Son certo che, a sollevare quelle maschere, non si troverebbe nemmeno un mucchio d'ossa o di cenere: ci sarebbe il nulla, il vuoto. La spiegazione è semplice: oggi in realtà in Italia c'è un drammatico vuoto di potere. Ma questo è il punto: non un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né, infine, un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sé.
Come siamo giunti, a questo vuoto? O, meglio, "come ci sono giunti gli uomini di potere?".
La spiegazione, ancora, è semplice: gli uomini di potere democristiani sono passati dalla "fase delle lucciole" alla "fase della scomparsa delle lucciole" senza accorgersene. Per quanto ciò possa sembrare prossimo alla criminalità la loro inconsapevolezza su questo punto è stata assoluta; non hanno sospettato minimamente che il potere, che essi detenevano e gestivano, non stava semplicemente subendo una "normale" evoluzione, ma sta cambiando radicalmente natura.
Essi si sono illusi che nel loro regime tutto sostanzialmente sarebbe stato uguale: che, per esempio, avrebbero potuto contare in eterno sul Vaticano: senza accorgersi che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, non sapeva più che farsene del Vaticano quale centro di vita contadina, retrograda, povera. Essi si erano illusi di poter contare in eterno su un esercito nazionalista (come appunto i loro predecessori fascisti): e non vedevano che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, già manovrava per gettare la base di eserciti nuovi in quanto transnazionali, quasi polizie tecnocratiche. E lo stesso si dica per la famiglia, costretta, senza soluzione di continuità dai tempi del fascismo, al risparmio, alla moralità: ora il potere dei consumi imponeva a essa cambiamenti radicali nel senso della modernità, fino ad accettare il divorzio, e ormai, potenzialmente, tutto il resto, senza più limiti (o almeno fino ai limiti consentiti dalla permissività del nuovo potere, peggio che totalitario in quanto violentemente totalizzante).
Gli uomini del potere democristiani hanno subito tutto questo, credendo di amministrarselo e soprattutto di manipolarselo. Non si sono accorti che esso era "altro": incommensurabile non solo a loro ma a tutta una forma di civiltà. Come sempre (cfr. Gramsci) solo nella lingua si sono avuti dei sintomi. Nella fase di transizione - ossia "durante" la scomparsa delle lucciole - gli uomini di potere democristiani hanno quasi bruscamente cambiato il loro modo di esprimersi, adottando un linguaggio completamente nuovo (del resto incomprensibile come il latino): specialmente Aldo Moro: cioè (per una enigmatica correlazione) colui che appare come il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono state, organizzate dal '69 ad oggi, nel tentativo, finora formalmente riuscito, di conservare comunque il potere.
Dico formalmente perché, ripeto, nella realtà, i potenti democristiani coprono con la loro manovra da automi e i loro sorrisi, il vuoto. Il potere reale procede senza di loro: ed essi non hanno più nelle mani che quegli inutili apparati che, di essi, rendono reale nient'altro che il luttuoso doppiopetto.
Tuttavia nella storia il "vuoto" non può sussistere: esso può essere predicato solo in astratto e per assurdo. È probabile che in effetti il "vuoto" di cui parlo stia già riempiendosi, attraverso una crisi e un riassestamento che non può non sconvolgere l'intera nazione. Ne è un indice ad esempio l'attesa "morbosa" del colpo di Stato. Quasi che si trattasse soltanto di "sostituire" il gruppo di uomini che ci ha tanto spaventosamente governati per trenta anni, portando l'Italia al disastro economico, ecologico, urbanistico, antropologico.
In realtà la falsa sostituzione di queste "teste di legno" (non meno, anzi più funereamente carnevalesche), attuata attraverso l'artificiale rinforzamento dei vecchi apparati del potere fascista, non servirebbe a niente (e sia chiaro che, in tal caso, la "truppa" sarebbe, già per sua costituzione, nazista). Il potere reale che da una decina di anni le "teste di legno" hanno servito senza accorgersi della sua realtà: ecco qualcosa che potrebbe aver già riempito il "vuoto" (vanificando anche la possibile partecipazione al governo del grande paese comunista che è nato nello sfacelo dell'Italia: perché non si tratta di "governare"). Di tale "potere reale" noi abbiamo immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali "forme" esso assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l'hanno preso per una semplice "modernizzazione" di tecniche. Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l'intera Montedison per una lucciola.

Pier Paolo Pasolini

Voi, diffusori dell'inganno

Corriere della Sera, 1 novembre 2000

«Voi, diffusori dell’inganno»

di Pier Paolo Pasolini

Roma, 30 aprile 1972

Caro ineffabile Ottone, sarebbe ora ti vergognassi per quello che «fai» scrivere ai tuoi disonesti redattori sul Vietnam! È un atto vergognoso che solo i servi e quelli che come te non possiedono alcuna dignità morale hanno l’impudenza di compiere. Perché non sei ignorante tu, dal momento che una volta almeno il testo del Trattato di Ginevra si deve presumere che l’hai letto; sei solo in malafede, tu come il tuo galoppino Sormani che scrive i suoi sudici e cinici articoli dal Vietnam perché i lettori benpensanti leggano sul tuo giornale «tanto serio e autorevole» quello che s’aspettano da una stampa padrona in casa e serva e servile fuori. Non è poi un caso che non ti salterebbe mai in testa, né a te né a nessuno della tua immorale falange, di pubblicare per esteso un documento che parla così chiaro come il testo di quel trattato, che la tua e la vostra vocazione all’illibertà e la tua e la vostra mancanza di coraggio morale offendono quotidianamente. E allora, direttore, con che animo tu, voi avete la spudoratezza di cogliere ogni occasione per parlare di libertà di stampa, quando tu e voi di questa libertà fate volgare mercimonio irridendo ai suoi valori con l’inconfessato e inconfessabile scopo di concimare l’ignoranza e diffondere l’inganno? Dunque, caro Ottone, se t’insegno a chiamare ogni cosa col nome che gli conviene, vorrai non avertene come uomo (come direttore sarebbe pretendere l’impossibile) se ti dico che sei una triviale e laida puttana. A Cesare quel che è di Cesare, alle puttane... E ora seguita pure a venderti per comprare gli altri. Lascia pure lo spazio della tua rubrica alla lettera della gentile signorina Cesira che essendosi fratturata la caviglia sciando a Cortina si interessa tanto ad un nuovo metodo per aggiustarsela (vivaddio, visto che non ci hanno regalato la riforma sanitaria è pur sempre qualcosa che vi interessiate almeno voi di qualche questione spicciola, davvero!). Infatti comprendo perfettamente che questa mia non puoi pubblicarla per non solleticare la pruderie dei tuoi cari lettori che non d’altro arrossirebbero se non di quel «puttana» che ti dò.
Prendi però nota di questo, direttore: anche fra i tuoi lettori sono sempre meno quelli che accendono i loro «ceri» con la tua lascivia. È un fatto che potrebbe riuscire utile sapere in Consiglio di amministrazione. Ma aspetta, dove vai, finisci di leggere la lettera prima di andarglielo a dire!? Scherzi a parte, caro Ottone, attento che la Crespi non scarichi anche te, sarebbe così cattivona e antidemocratica... che faremo tutti quadrato intorno a te e a Indro e a Spadolini contro l’attacco padronale... oibò! Ma tu una cosa ricorda soprattutto, come direttore-difensore-della-libertà-di-stampa-e-non-solo-di-questa-ma-anche-delle-libertà-democratiche: quelli che oggi sono gli sfruttati e gli oppressi spazzeranno via voi e le vostre libertà. Costoro sanno oggi meglio che mai che questa non è retorica millenaristica.
Ciao e a presto

Pier Paolo Pasolini

mercoledì, agosto 25, 2010

Un cesare

Tratto da Wikipedia

Cesare Geronzi
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


Cesare Geronzi (Marino, 15 febbraio 1935) è un banchiere e dirigente d'azienda italiano, presidente di Generali.

La carriera professionale

Nel 1960 Cesare Geronzi vince il concorso in Banca d'Italia, entrando a lavorare nel 1961 nel settore cambi collaborando con il Governatore Guido Carli per 15 anni. L'ambiente politico negli anni sessanta e settanta è molto difficile, ma Geronzi riesce a farsi largo e ad affermarsi professionalmente. Negli anni ottanta si vede chiuso da Carlo Azeglio Ciampi e Lamberto Dini e si mette quindi sul mercato, diventando, proprio nel 1980, vicedirettore generale del Banco di Napoli, seguendo l’allora Direttore Generale Rinaldo Ossola.

Ma l'esperienza di Napoli non è felice: nel 1982 sia lui sia Ossola sono letteralmente cacciati dal Banco di Napoli. Geronzi nel 1982 passa alla Cassa di Risparmio di Roma, come direttore generale. Alla fine degli anni Ottanta, la carriera di Geronzi ha uno scatto deciso. Il Banco di Santo Spirito, storica banca romana controllata dall'IRI, presieduto da Romano Prodi si trova in difficoltà economiche. Geronzi vorrebbe acquistare il Banco, ma Cariroma non ha gli 800 miliardi di lire necessari per farlo. Per ottenere il capitale necessario allora Cariroma vende a Santo Spirito i propri sportelli, diventando una holding, e con il denaro ottenuto rileva il capitale azionario. Nel 1990 al gruppo viene aggiunto anche il Banco di Roma.

Successivamente la Banca di Roma acquisisce numerose società: compra la Banca Mediterranea, finanzia l'alta velocità delle Ferrovie dello Stato, fonda la holding turistica Ecp. Nel 1995 acquisisce la Banca Nazionale dell'agricoltura (venduta cinque anni dopo all' Antonveneta a 1,5 volte il prezzo pagato) e il suo gruppo supera un giro d'affari di 10mila miliardi di Lire.

A fine anni '90 il gruppo Banca di Roma si allarga al Sud, con l'acquisizione di Mediocredito Centrale e del Banco di Sicilia; in cambio la Regione Siciliana e la Fondazione Banco di Sicilia ne divengono due soci importanti. Nel 2000 sono assorbite la Banca Popolare di Brescia e la Cassa di Risparmio di Reggio Emilia. È questo il percorso che, attraverso l’unione di banche in crisi o pre-crisi, conduce Geronzi alla creazione nel luglio 2002 di un’unica unità bancaria, Capitalia.

Nel 2004 Cesare Geronzi e Capitalia vengono coinvolti nella crisi del sistema finanziario, generata dalla crisi argentina e dai crac Parmalat e Cirio. Capitalia però non aveva emesso alcun bond della Parmalat mentre ne emise solo due su 1.100 della Cirio, insieme a Unicredito e J.P.Morgan. Dopo due anni, il 7 dicembre 2006, il tribunale di Brescia ha condannato in primo grado Geronzi per la vicenda del crac Italcase. Questa accusa è stata poi ribaltata nella sentenza d'appello e, l'11 maggio 2009, Cesare Geronzi è stato assolto con formula piena "per non aver commesso il fatto"

Il 20 maggio 2007, viene deliberata l’approvazione finale della fusione per incorporazione di Capitalia SpA in Unicredit SpA, un’operazione in cui Capitalia viene valutata 22 mld di euro. Dopo circa un mese avviene la fusione di Capitalia con Unicredit, e Geronzi viene nominato all’unanimità presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca, di cui era già Vice Presidente. L’Assemblea del Patto di Sindacato di Mediobanca S.p.A. lo nomina Presidente. Alla fine del 2008 Cesare Geronzi viene riconfermato nella carica di presidente, dopo che il 28 ottobre 2008 l’Assemblea degli Azionisti di Mediobanca approva l’abbandono del sistema di governance “duale” e il ripristino del “tradizionale”. Nel marzo 2010 viene designato da Mediobanca quale Presidente delle Assicurazioni Generali, nomina concretizzata il 24 aprile 2010.

L'editoria e la politica

La sua carriera professionale è stata sorretta storicamente da amicizie politiche importanti, partendo da quella di Giulio Andreotti dei primi anni Ottanta fino al sostegno ricevuto da una parte dei vertici di Bankitalia alla fine degli anni novanta.

Attraverso la sua attività di importante ed affermato banchiere, Geronzi possiede anche numerose partecipazioni in molti gruppi editoriali, che fanno o hanno fatto capo a diverse testate giornalistiche: Risparmio Oggi (diretto da Bruno Vespa), Il Messaggero di Francesco Gaetano Caltagirone, Class di Paolo Panerai, l'Unità, Il Manifesto per finire alla tv Telemontecarlo di Vittorio Cecchi Gori.

In seguito è fra i primi finanziatori della Omnitel e fonda la Mmp, una concessionaria di pubblicità, che si occupa di gran parte della carta stampata, pur essendo perennemente in perdita: Topolino, Secolo d'Italia, L'Unione sarda, Qui Touring, Famiglia Cristiana, Osservatore Romano. La Mmp chiuderà nel 1997 con 450 miliardi di perdite, il 70 per cento delle quali sono a carico del partner pubblico. Sono notevoli anche i finanziamenti ai partiti: nel 1996 i Democratici di Sinistra ricevono da Banca di Roma 502 miliardi, secondo quanto riportato dalla Centrale Rischi Interbancaria della Banca d'Italia.

Il calcio

Dagli anni novanta è aumentato notevolmente il suo impegno nel settore calcistico, ed è nota in particolare l'influenza economica che ha ed ha avuto dentro alcune società calcistiche con problemi finanziari. Luciano Gaucci lo ritenne responsabile del fallimento dell' AC Perugia e gli lanciò numerose accuse da Santo Domingo, dov'era all'epoca latitante; sull'argomento Geronzi è stato sentito dalla magistratura come persona informata sui fatti.

Nel 2004 ha acquisito tramite Capitalia il 49% di Italpetroli, la società che controlla l'AS Roma con una quota del 67%, sfruttando la conversione in azioni di crediti per 35 milioni di euro. La banca deteneva inoltre un'opzione a salire al 51% nel caso il piano di risanamento della squadra non avesse avuto successo ma, nel 2008, tale opzione è stata cancellata. Inoltre Capitalia è uno dei creditori della S.S. Lazio, dopo esserne stata anche azionista e averla salvata con un aumento di capitale.

Casi giudiziari

* Federconsorzi: assoluzione.
* Parmalat - Eurolat: Nell'ambito del processo per il crac Parmalat è indagato per usura aggravata e concorso in bancarotta fraudolenta. Per l'accusa Geronzi avrebbe costretto Tanzi ad accollarsi la società Ciappazzi, appartenenti al gruppo Ciarrapico. L'investimento sarebbe stato finanziato da Capitalia con tassi da usura. Per il filone Eurolat, Geronzi è stato rinviato a giudizio per estorsione e bancarotta societaria il 5 aprile 2008. Secondo l'accusa, Geronzi avrebbe imposto a Tanzi l'acquisto di Eurolat, società del Gruppo Cirio di Sergio Cragnotti ad un prezzo gonfiato, minacciando di chiudere gli affidamenti bancari. Gli atti del processo sono stati trasferiti da Parma a Roma il 20 giugno perché il reato contestato (estorsione in relazione alla vendita di Eurolat dalla Cirio alla Parmalat) sarebbe stato compiuto a Roma.Il 23 marzo 2010, il gup di Roma, Tommaso Picazio, lo proscioglie dall'accusa di estorsione, mentre decide di affidare alla Cassazione la sentenza riguardante la competenza a svolgere il processo per bancarotta.
* Crac Cirio: il banchiere è indagato di frode riguardo l'emissione e collocamento dei 'bond' Cirio tramite Capitalia.

* Crac Italcase: assoluzione in appello con formula piena "per non aver commesso il fatto"

* Caso Telecom: frode fiscale operata dalla lussemburghese Bell (controllata da Hopa, la merchant bank di Emilio Gnutti partecipata anche da Geronzi).

Altre cariche ricoperte

* Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani S.p.A.;
* Consigliere di Amministrazione di RCS Quotidiani
* Consigliere di Amministrazione della CASPIE (Cassa Autonoma di Assistenza Sanitaria tra il personale dell’Istituto di emissione);
* Membro della Giunta di ASSONIME;
* Membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione “Guido Carli”;
* Membro del Comitato Esecutivo di Aspen Institute Italia;
* Consigliere di Amministrazione della Fondazione Amintore Fanfani;
* Consigliere di Amministrazione della Fondazione per l’Istituto Italiano di Scienze Umane;
* Membro del Consiglio Direttivo della Fondazione di Diritto Vaticano dell’Ospedale Bambino Gesù;
* Consigliere di Amministrazione della Fondazione Cerba.

Riconoscimenti

* Laurea “honoris causa” in Economia e Commercio conferita dall’Università degli Studi di Bari;
* Grande Ufficiale Ordine al merito della Repubblica Italiana;
* Commendatore Sacro Ordine di San Gregorio Magno;
* Croce di Commendatore dell’Ordine al Merito Melitense del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta;
* Honorary Fellow del Tel Aviv Museum of Art.