domenica, settembre 27, 2009

RIFLESSIONI SUL POPOLO ITALIANO

Il testo è di José Saramago, Nobel per la letteratura 1998. Einaudi, di proprietà di SB non pubblicherà il suo ultimo libro in cui sono raccolte le riflessioni finora affidate al blog.
Pazienza. Lo farà Bollati-Boringhieri. E si trovano in rete.

da Il Manifesto - 25.9.09

Giorno 19 - BERLUSCONI & C. -

Secondo la rivista nordamericana «Forbes», il gotha della ricchezza mondiale, la fortuna di Berlusconi ascenderebbe a quasi diecimila milioni di dollari. Onoratamente guadagnati, è chiaro, sebbene con non pochi aiuti esterni, come ad esempio il mio. Essendo io pubblicato in Italia dall'editrice Einaudi, proprietà del detto Berlusconi, qualche soldo glielo avrò fatto guadagnare. Un'infima goccia d'acqua nell'oceano, ovviamente, ma che gli sarà servita almeno per pagarsi i sigari, ammettendo che la corruzione non sia il suo unico vizio. Salvo quel che è di comune dominio, so pochissimo di vita e miracoli di Silvio Berlusconi, il cavaliere. Molto più di me ne saprà sicuramente il popolo italiano, che una, due, tre volte lo ha insediato sulla poltrona di primo ministro. Ebbene, come di solito si sente dire, i popoli sono sovrani, ma anche saggi e prudenti, soprattutto da quando il continuo esercizio della democrazia ha fornito ai cittadini alcune nozioni utili a capire come funziona la politica e quali sono i diversi modi per ottenere il potere. Ciò significa che il popolo sa molto bene quel che vuole quando è chiamato a votare. Nel caso concreto del popolo italiano - perché è di esso che stiamo parlando, e non di un altro (ci arriveremo) - è dimostrato come l'inclinazione sentimentale che prova per Berlusconi, tre volte manifestata, sia indifferente a qualsiasi considerazione di ordine morale. In effetti, nel paese della mafia e della camorra, che importanza potrà mai avere il fatto provato che il primo ministro sia un delinquente? In un paese in cui la giustizia non ha mai goduto di buona reputazione, che cosa cambia se il primo ministro fa approvare leggi a misura dei suoi interessi, tutelandosi contro qualsiasi tentativo di punizione dei suoi eccessi e abusi di autorità? Eça de Queiroz diceva che, se facessimo circolare una bella risata intorno a una istituzione, essa crollerebbe, ridotta in pezzi. Questo, un tempo. Che diremo del recente divieto, emesso da Berlusconi, alla proiezione del film W. di Oliver Stone? Fin lì sono arrivati i poteri del cavaliere? Come è possibile che si sia commesso un tale arbitrio, sapendo per di più che, per quante risate ci potessimo fare intorno ai Quirinali, questi non cadrebbero? Giusta è la nostra indignazione, pur dovendo compiere uno sforzo per capire la complessità del cuore umano. W. è un film che attacca Bush, e Berlusconi, uomo di cuore come può esserlo un capo mafia, è amico, collega, fautore dell'ancora presidente degli Stati Uniti. Sono fatti l'uno per l'altro. Quel che non sarà ben fatto è che il popolo italiano accosti una quarta volta alle natiche di Berlusconi la sedia del potere. Non ci sarà, allora, risata che ci salvi.

Giorno 1 - DOVE STA LA SINISTRA? -

Tre o quattro anni fa, in un'intervista a un giornale sud-americano, credo argentino, mi uscì nella successione di domande e risposte una dichiarazione che, dopo, immaginai avrebbe causato agitazione, dibattito, scandalo (a tanto arrivava la mia ingenuità), a cominciare dalle folle locali della sinistra e poi, chissà, come un'onda che si allargasse in cerchi, fino agli ambienti internazionali, fossero essi politici, sindacali o culturali che della detta sinistra sono tributari. In tutta la sua crudezza, non arretrando dinanzi alla propria oscenità, la frase, puntualmente riprodotta dal giornale, era la seguente: «La sinistra non ha la più schifosa idea del mondo in cui vive». Alla mia intenzione, deliberatamente provocatoria, la sinistra, così interpellata, rispose con il più gelido silenzio. Nessun partito comunista, ad esempio, neppure quello di cui sono membro, scese in campo per ribattere o semplicemente discutere sulla proprietà o mancanza di proprietà delle parole da me profferite. A maggior ragione, neppure uno dei partiti socialisti che sono al governo dei loro rispettivi paesi, penso soprattutto a quelli di Spagna e Portogallo, ritenne necessario esigere un chiarimento dal temerario scrittore che aveva osato lanciare un sasso nel putrido stagno dell'indifferenza. Niente di niente, silenzio totale, come se nei tumuli ideologici in cui si erano rifugiati non vi fosse che polvere e ragnatele, tutt'al più un osso arcaico che ormai non serviva neppure come reliquia. Per alcuni giorni mi sentii escluso dalla società umana come se fossi un appestato, vittima di una sorta di cirrosi mentale che mi impedisse di ragionare. Arrivai perfino a pensare che la frase compassionevole probabilmente in circolazione tra coloro che tacevano, fosse più o meno questa: «Poveretto, che c'e-ra da aspettarsi alla sua età?» Era chiaro che in quel momento non mi ritenevano capace di intendere. Passò il tempo, la situazione del mondo andò sempre più complicandosi, e la sinistra, impavida, continuava a svolgere i ruoli che, al potere o all'opposizione, le erano stati assegnati. Io, che nel frattempo avevo fatto un'altra scoperta, quella che Marx non aveva avuto mai tanta ragione come oggi, immaginai, quando un anno fa scoppiò negli Stati Uniti la cancerosa truffa delle ipoteche, che la sinistra, se ancora era viva, avrebbe finalmente aperto bocca per dire quel che pensava del caso. Ho già la spiegazione: la sinistra non pensa, non agisce, non arrischia un passo. È successo poi e fino a oggi quel che è successo, e la sinistra, codardamente, continua a non pensare, a non agire, a non arrischiare un passo. Per questo, non stupisca l'insolente domanda del titolo: «Dove sta la sinistra?» Non faccio sconti, ho già pagato troppo care le mie illusioni.

Giorno 13 - LA DEMOCRAZIA IN UN TASSÌ -

L'eminente statista italiano che ha nome Silvio Berlusconi, conosciuto anche come il cavaliere, ha appena partorito nel suo privilegiato cervello un'idea che lo colloca definitivamente alla testa del gruppo dei grandi pensatori politici. Egli vuole, per ovviare ai lunghi, monotoni e lenti dibattiti e sveltire le procedure parlamentari alla camera e al senato, che siano i capigruppo parlamentari a esercitare il potere di rappresentanza, liberandosi al contempo del peso morto di centinaia di deputati e senatori che, nella maggior parte dei casi, non aprono bocca per tutta la legislatura se non per sbadigliare. A me, devo riconoscerlo, pare una buona cosa. I rappresentanti dei maggiori partiti, tre o quattro diciamo, si riunirebbero in un tassì alla volta di un ristorante dove, attorno a un buon pasto, prenderebbero le decisioni pertinenti. Li seguirebbero, ma in bicicletta, i rappresentanti dei partiti minori, che mangerebbero al bancone, nel caso ci fosse, o in una tavola calda dei paraggi. Niente di più democratico. Strada facendo, si potrebbe anche cominciare a pensare di liquidare quegli imponenti, arroganti e pretenziosi edifici denominati parlamenti e senati, fonte di continue discussioni e di spese elevate senza alcun profitto per il popolo. Di riduzione in riduzione, penso si arriverebbe all'agorà dei greci. Con agorà, chiaro, ma senza greci. Mi si dirà che questo cavaliere non è da prendere sul serio. Sì, ma il pericolo è che si finisca per non prendere sul serio quelli che lo eleggono.

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