mercoledì, giugno 09, 2010

In morte di Giacomo Matteotti

Tratto da: http://www.gennarodestefano.it/art0424.asp, articolo pubblicato su Oggi, n. 51, anno 2000.

Matteotti fu ucciso perché
scoprì le mazzette di Mussolini
«Le carte dei servizi segreti americani», conferma lo storico Mauro Canali, «dimostrano gli interessi del Duce in un losco affare petrolifero» - «Le camicie nere furono finanziate dalla Standard Oil» - «E il deputato socialista si apprestava a denunciare quello scandalo»

di Gennaro De Stefano
Roma, dicembre
Quello che vi raccontiamo è un intricato giallo storico alla cui soluzione lavorano da anni storici e ricercatori e il cui epilogo susciterà polemiche. Ma, al termine di questa inchiesta, possiamo dire che esistono ragionevoli motivi, costruiti su prove documentali, per ritenere che Mussolini ordinò l’uccisione di Giacomo Matteotti (il 10 giugno 1924) perché aveva scoperto il giro di tangenti versate al Duce dalla compagnia petrolifera americana Standard Oil. Ed emerge, sempre da prove documentali, che Mussolini accumulò una fortuna all’estero prima e durante la guerra.
La nostra ricerca è partita dal libro Ciano, l’ombra di Mussolini, del giornalista americano Ray Moseley, corrispondente da Londra del Chicago Tribune. A pagina 205, l’autore scrive: «Alcuni documenti conservati nell’Archivio nazionale degli Stati Uniti hanno rivelato che Galeazzo Ciano aveva nascosto milioni di pesos in Argentina e, assieme a Mussolini, aveva depositato segretamente altri fondi in Svizzera». A Oggi, Moseley spiegò che conosceva l’esistenza dei documenti che costituivano la prova di questa verità, ma che non li aveva mai visti e non era riuscito a entrarne in possesso.

“Il capo del
governo accantonò
l’enorme somma
di 3 mila miliardi”
“Galeazzo Giano
aveva nascosto in
Argentina
milioni di pesos”

A quel punto, l’unica strada era quella di estendere le ricerche a New York. In sintonia con il World Jewish Council, alla fine siamo riusciti a ottenere le fotocopie delle carte più significative dei servizi segreti americani, di cui s’era già parlato anni fa, e che pubblichiamo per la prima volta in esclusiva. Si tratta di materiale cartaceo, sotto il titolo Flight of Italian Capital (Mussolini), la cui attendibilità è indiscutibile.

Il Duce, sostengono gli americani, costituì una fortuna all’estero, ma non ebbe modo di utilizzarla né poterono farlo i suoi discendenti. Verrebbe a cadere, così, una delle apologie che il postfascismo ha sempre coltivato: Mussolini, fucilato a Dongo e poi appeso a testa in giù in piazzale Loreto, morì povero, tanto che dalle sue tasche non cadde neppure un centesimo. La verità, secondo gli americani, sarebbe invece un’altra: il Duce avrebbe accantonato enormi somme di denaro provenienti da una colossale «Tangentopoli nera», durata tutto il ventennio, che avrebbe visto protagonisti, assieme a lui, nomi altisonanti della gerarchia fascista, della nobiltà nera e persino di Casa Savoia: da re Vittorio Emanuele III, che avrebbe nascosto la bellezza di 1.638 miliardi (valore di oggi), a gerarchi come Grandi, Farinacci e Marinotti.

Il primo brogliaccio che abbiamo visionato, datato 23 gennaio 1945 e siglato J.S., recita così: «Il giornale Il Lavoro Svizzero ha citato una dichiarazione del Bulletin de Crédit e de Fìnance secondo il quale le banche sviz- zere hanno circa 300 milioni di franchi [pari a circa 17.550 miliardi di oggi, ndr] appartenenti a 70 italiani, includendo 28 milioni del Re e 25 del Conte Volpi di Misurata».

Ma un altro rapporto dell’Oss, la Cia degli anni ’40, è ancora più preciso e indica le modalità utilizzate dal Duce per nascondere capitali all’estero assieme al gene- ro, poi fucilato a Verona, il conte Galeazzo Ciano. Sotto l’intestazione Hjalmar Schacht si legge: «E stato riferito in modo attendibile che Hjalmar Schacht, della Reich- bank [la banca centrale tedesca sotto il nazismo, ndr], fu in segreto contatto tra il 1937 e il ’41 con un avvocato, L.F. Meyer, i cui uffici sono in Aldigens-Wildertstrasse, 6 a Lucerna.

«Meyer», prosegue il documento, «fu usato come copertura da Castiglioni, un banchiere viennese, consi- gliere finanziario personale di Mussolini. Lo scopo di questa copertura fu quello di nascondere gli investimen- ti di danaro nella raffineria di petrolio grezzo (Ipsa) appar- tenente a Mussolini, Ciano e allo stesso Castiglioni».

E nel documento 650.3/SH-O del 4 aprile 1945, in- dirizzato al segretario di Stato americano, sotto la voce Fuga di capitali italiani, si legge: «Il Dipartimento ha ordi- nato una indagine per confermare un rapporto dell’agen- zia sovietica Tass, riguardante una grossa somma di da- naro e altri valori che sono stati trasferiti nelle banche svizzere da Mussolini e dai suoi complici».

A questo punto, non ci restava che interpellare uno tra i maggiori studiosi del fascismo, allievo del professor Renzo De Felice, il massimo conoscitore di Mussolini e del regime, e sottoporgli la documentazione in nostro possesso. E il professor Mauro Canali, autore di una ponderosa ricerca intitolata Il delitto Matteotti, è stato esplicito: «Il documento di cui mi parla, quello nel quale è citata la Ipsa, è di notevole importanza storica. Innan- zitutto devo dire che questi documenti hanno un’attendi- bilità elevatissima, perché sono indirizzati al segretario di Stato americano da Allen Dulles, capo dell’Oss in Europa, che operava prevalentemente in Svizzera proprio in quegli anni. Ma la cosa più sorprendente è che la Ipsa, nella quale Mussolini aveva forti interessi, altro non è che la Siap [anagramma di Ipsa, ndr], filiale italiana della Standard Oil americana, requisita dal Duce come bene appartenente a Paese nemico.

«L’importanza storica di questa rivelazione sta nel fatto che viene dimostrata una inquietante continuità degli interessi personali di Mussolini, nel petrolio, che vanno dal delitto Matteotti alle ultime fasi della Repubblica di Salò», ricorda lo studioso. «I figli di Matteotti riconoscevano valida l’ipotesi che, dietro l’omicidio del padre, vi fosse il timore che il deputato socialista stesse per rivelare i retroscena dello scandalo Sinclair Oil. Si trattava di una compagnia prestanome della Standard Oil, cui Mussolini aveva confermato il monopolio della commercializzazione in Italia dei prodotti petroliferi, ma cui aveva anche concesso i diritti esclusivi per lo sfruttamento dei giacimenti rinvenuti in Italia, accompagnando tutto ciò con una serie incredibile di agevolazioni fiscali. I familiari di Matteotti hanno sempre sospettato che mandante dell’omicidio fosse re Vittorio Emanuele, secondo loro proprietario di quote della Sinclair. Invece, io sono giunto alla conclusione che fu proprio Mussolini, che aveva intascato tangenti direttamente da questa operazione, a ordinare l’eliminazione del suo avversario politico. Il fatto che gli americani avessero individuato nella Ipsa la società con la quale Mussolini gestiva i profitti dell’estrazione del petrolio conferma un dato importante del consolidamento della sua posizione personale e del movimento fascista.

Quel traffico di
denari illeciti
continuò sino alla
fine della guerra

«Sia chiaro», spiega il professor Canali, «le cifre astronomiche contenute nei rapporti americani non si possono giustificare solo con tangenti sul petrolio; capitali così ingenti furono il frutto di operazioni più ampie. Ma il documento scoperto da Oggi costituisce sicuramente un tassello di grande importanza per successivi approfondimenti».

Cifre enormi, sostiene il professor Canali, e ha ragione; 17.550 miliardi è, secondo i documenti dello spionaggio americano, la somma portata all’estero, prima e durante la seconda guerra mondiale, da settanta «benemeriti» cittadini italiani. E su tutti spicca il nome di Benito Mussolini, la cui fortuna ammonterebbe a ben 2.500 miliardi di lire al valore attuale.

Il famoso tesoro del Duce, dunque, non è una leggenda, né può essere individuato nella paccottiglia conservata per 50 anni nei sotterranei del ministero del Tesoro. Il «bottino» vero sarebbe al sicuro nei forzieri elvetici e in quelli argentini. Si tratta di soldi dei cittadini italiani, una ricchezza che non ritornerà mai più nel nostro Paese e sulla quale nessuno potrà mai mettere le mani. Le somme custodite in conti cifrati, infatti, sono state assorbite dalle banche dove vennero depositate e dove nessuno potrà mai più reclamarne la proprietà. Ma tutta la vicenda ha fortissime connotazioni di intrigo internazionale. Nel ’97, infatti, ben quattro incendi hanno distrutto buona parte dei documenti consegnati dagli svizzeri agli Stati Uniti e conservati negli archivi americani. E il sospetto fondato è che dietro gli incendi vi sia la mano delle banche elvetiche che, dopo aver mantenuto per anni un atteggiamento di durissima chiusura nei confronti di quanti chiedevano di conoscere i nomi degli intestatari dei conti correnti, erano state messe con le spalle al muro e avrebbero dovuto restituire il denaro ai legittimi proprietari (come accaduto per gli ebrei).

Le somme dei
conti cifrali non
potranno più
essere recuperate

Nel caso del Duce, allo Stato italiano. Gli incendi hanno distrutto ben ottomila casse di documenti; ne sono rimaste solamente 3.500.

Cade quindi il mito apologetico del «Puzzone» che non avrebbe intascato una lira di pubblico danaro: «Nel mio libro sulla genesi del delitto Matteotti», precisa lo storico, «sono riuscito a dimostrare almeno tre tangenti sicure e non è certo facile trovare le prove materiali della corruzione. Una prima tranche di quasi 40 miliardi di lire attuali venne versata dalla Standard Oil ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. C’è poi una lettera del commissario straordinario delle Ferrovie, incaricato di vendere i residuati bellici della prima guerra mondiale, che scrive a Mussolini:

“Ho dimostrato
l’esistenza
di almeno tre
grosse tangenti”
“Le 250 mila lire [circa 400 milioni attuali, ndr] che ebbi a consegnarvi poche sere or sono provengono da una vendita di materiali esistenti in magazzini di corpo d’armata”. E Mussolini, sull’appunto, verga la parola “riservatìssimo”. Vi sono poi altre sicure tangenti, come una di 750 mila lire [circa un miliardo di oggi, ndr] fatta passare per donazione a un istituto per ciechi». Nella nostra ricerca abbiamo rinvenuto un ultimo documento riservato, del dicembre 1944. Si tratta di un’informativa sui conti e gli investimenti in Argentina di esponenti di spicco dei regimi dell’Asse. Si fanno i nomi dei gerarchi nazisti Eckhart Neumann, Goering e Von Ribbentrop. Ma anche di Ciano e della figlia del Duce, Edda: «Un ufficiale dell’ambasciata fu informato da una fonte attendibile che il governo argentino, nel corso di una indagine fiscale sulla società tessile Denubio, scoprì che il capitale della società era intestato a Galeazzo Ciano e al generale tedesco Guderian. Viene anche riferito che, sebbene il capitale fosse di 2 milioni di pesos. la società ebbe poi un profitto di 9 milioni durante l’ultimo anno fiscale».

Ma perché sarebbe stata scelta l’Argentina per riciclare i soldi trafugati agli italiani? Probabilmente perché il Paese sudamericano, all’epoca così florido da ospitare milioni di nostri connazionali, era disponibile, oltre a dare asilo ai gerarchi nazisti fuggiti dalla Germania dopo il tracollo del regime, anche a reinvestire i capitali in fondi comuni che ne moltiplicassero il valore. David Berger, primo segretario dell ambasciata di Washington in Argentina ed estensore del rapporto, rivela: «Un attendibile informatore ha affermato che Edda Mussolini sta cercando di andare in Argentina per incassare i beni del marito che sono presumibilmente in possesso di Victor Caldani, editore del quotidiano Il Mattino d’Italia». E in Argentina andò a vivere anche Vittorio, figlio di Mussolini.

L’ipotesi di un arricchimento del Duce è stata sempre respinta dalla famiglia che, in realtà, dopo la guerra non visse certo nell’agiatezza, tranne Edda, che ereditò dal marito ben 95 appartamenti a Roma. Donna Rachele ebbe la pensione di vedova di un presidente del Consiglio solo dopo una lunga controversia legale con lo Stato italiano; Romano ha sempre vissuto del suo lavoro di stimato jazzista. È quindi comprensibile l’atteggiamento dei Mussolini ogni volta che si avanza il sospetto. Restano i documenti che pubblichiamo e le conferme di un autorevole studioso.

La speranza che quel fiume di denaro uscito illegalmente dal nostro Paese possa tornare in Italia è molto remota. Ma la verità storica forse oggi è più vicina.

Gennaro De Stefano

mercoledì, maggio 19, 2010

Debito pubblico e imposte

Tratto da "Il capitale" (Libro I, Sezione VII, Capitolo 24, Par. 6 Genesi del capitalista industriale) di Karl Marx:

"Con i debiti pubblici è sorto un sistema di credito internazionale che spesso nasconde una delle fonti dell’accumulazione originaria di questo o di quel popolo. Così le bassezze del sistema di rapina veneziano sono ancora uno di tali fondamenti arcani della ricchezza di capitali dell’Olanda, alla quale Venezia in decadenza prestò forti somme di denaro. Altrettanto avviene fra l’Olanda e l’Inghilterra. Già all’inizio del secolo XVIII le manifatture olandesi sono superate di molto, e l’Olanda ha cessato di essere la nazione industriale e commerciale dominante. Quindi uno dei suoi affari più importanti diventa, dal 1701 al 1776, quello del prestito di enormi capitali, che vanno in particolare alla sua forte concorrente, l’Inghilterra. Qualcosa di simile si ha oggi fra Inghilterra e Stati Uniti: parecchi capitali che oggi si presentano negli Stati Uniti senza fede di nascita sono sangue di bambini che solo ieri è stato capitalizzato in Inghilterra.

Poichè il debito pubblico ha il suo sostegno nelle entrate dello Stato che debbono coprire i pagamenti annui d’interessi, ecc., il sistema tributario moderno è diventato l’integramento necessario del sistema dei prestiti nazionali. I prestiti mettono i governi in grado di affrontare spese straordinarie senza che il contribuente ne risenta immediatamente, ma richiedono tuttavia in seguito un aumento delle imposte. D’altra parte, l’aumento delle imposte causato dall’accumularsi di debiti contratti l’uno dopo l’altro costringe il governo a contrarre sempre nuovi prestiti quando si presentano nuove spese straordinarie. Il fiscalismo moderno, il cui perno è costituito dalle imposte sui mezzi di sussistenza di prima necessità (quindi dal rincaro di questi), porta perciò in se stesso il germe della progressione automatica. Dunque, il sovraccarico d’imposte non è un incidente, ma anzi è il principio. Questo sistema è stato inaugurato la prima volta in Olanda, e il gran patriota De Witt l’ha quindi celebrato nelle sue Massime come il miglior sistema per render l’operaio sottomesso, frugale, laborioso e... sovraccarico di lavoro. Tuttavia qui l’influsso distruttivo che questo sistema esercita sulla situazione del l’operaio salariato, qui ci interessa meno dell’espropriazione violenta del contadino, dell’artigiano, in breve di tutti gli elementi costitutivi della piccola classe media, che il sistema stesso porta con sè. Su ciò non c’è discussione, neppure fra gli economisti borghesi. E la efficacia espropriatrice del sistema è ancor rafforzata dal sistema protezionistico che è una delle parti integranti di esso."

martedì, aprile 27, 2010

Anche Povia ha scoperto chi detiene la Sovranità Monetaria

Gli unici che sembrano del tutto ignari sono gli uomini politici (non tutti tutti, per la verità) e i giornalisti (quasi tutti, idem come sopra).
Eppure è di una semplicità quasi sconcertante: chiunque, in quanto soggetto privato, è legittimato da leggi e trattati internazionali a creare moneta dal nulla, prestandola a Stati e privati con l'applicazione di un interesse, è il vero padrone e "dominus" della vita di tutte le altre persone.
Questo è ciò che accade di sicuro in Europa, America, ex Unione Sovietica. La Cina non ancora ma dicono sia "vicina"...
Con pochi versi in rima, il cantante Povia ha cristallizzato questa oppressiva e schiavistica realtà globale.

La canzone:



Il testo di "Come fai?", di Povia, dalla raccolta intitolata "Scacco matto":

"
Quelli che guadagnano sempre ad entrare in guerra sono i banchieri internazionali
Perché prestano soldi a tutte le parti in gioco
a tutte le parti in gioco.
Tu sì che sei un leader
controlli tutto il mondo

Ma dimmi un po' come fai?
Piloti le opinioni con false informazioni.
Ma dimmi un po' come fai?

E un'altra guerra inizierà
chissà chi la finanzierà.
E quanti soldi porterà
interessi mica parole.

Dimmelo tu come fai
a dormirci anche su.
Ma che coraggio che hai eh..
a mandarli in tv
a quei pupazzi che fai
parlare al posto tuo..

Se i capi delle banche controllano la terra allora so come mai
sostengono i conflitti per fare più profitti
e adesso cosa vuoi
Un solo governo mondiale
una sola moneta da fare girare.
La tua vita controllare i tuoi soldi controlare.

E se una guerra finirà
un'altra guerra è pronta già.
E quani soldi porterà
interessi mica parole.

Dimmelo dai come fai
a dormirci anche su.
Ma che coraggio che hai eh..
a mandarli in tv
a quei pupazzi che fai
parlare al posto tuo..

E se tutti chiudessimo il conto corrente per sempre..
Con che soldi fai tutti i giochi che fai non lo sai??

Allora dimmelo dai come fai...
"

giovedì, aprile 22, 2010

Marx e la sovranità monetaria

Tratto da "Il capitale" (Libro I, capitolo 24) di Karl Marx.

"Il sistema del credito pubblico, cioè dei debiti dello Stato, le cui origini si possono scoprire fin dal Medioevo a Genova e a Venezia, s’impossessò di tutta l’Europa durante il periodo della manifattura, e il sistema coloniale col suo commercio marittimo e le sue guerre commerciali gli servì da serra. Così prese piede anzitutto in Olanda. Il debito pubblico, ossia l’alienazione dello Stato — dispotico, costituzionale o repubblicano che sia — imprime il suo marchio all’era capitalistica. L’unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che passi effettivamente in possesso collettivo dei popoli moderni è.il loro debito pubblico. Di qui, con piena coerenza, viene la dottrina moderna che un popolo diventa tanto più ricco quanto più a fondo s’indebita. Il credito pubblico diventa il credo del capitale. E col sorgere dell’indebitamento dello Stato, al peccato contro lo spirito santo, che è quello che non trova perdono, subentra il mancar di fede al debito pubblico.
Il debito pubblico diventa una delle leve più energiche dell’accumulazione originaria: come con un colpo di bacchetta magica, esso conferisce al denaro, che è improduttivo, la facoltà di procreare, e così lo trasforma in capitale, senza che il denaro abbia bisogno di assoggettarsi alla fatica e al rischio inseparabili dall’investimento industriale e anche da quello usurario. In realtà i creditori dello Stato non danno niente, poichè la somma prestata viene trasformata in obbligazioni facilmente trasferibili, che in loro mano continuano a funzionare proprio come se fossero tanto denaro in contanti. Ma anche fatta astrazione dalla classe di gente oziosa, vivente di rendita, che viene cosi creata, e dalla ricchezza improvvisata dei finanzieri che fanno da intermediari fra governo e nazione, e fatta astrazione anche da quella degli appaltatori delle imposte, dei commercianti, dei fabbricanti privati, ai quali una buona parte di ogni prestito dello Stato fa il servizio di un capitale piovuto dal cielo, il debito pubblico ha fatto nascere le società per azioni, il commercio di effetti negoziabili di ogni specie, l’aggiotaggio: in una parola, ha fatto nascere il giuoco di Borsa e la bancocrazia moderna.
Fin dalla nascita le grandi banche agghindate di denominazioni nazionali non sono state che società di speculatori privati che si affiancavano ai governi e, grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipar loro denaro. Quindi l’accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche, il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della Banca d’Inghilterra (1694). La Banca d’Inghilterra cominciò col prestare il suo denaro al governo all’otto per cento; contemporaneamente era autorizzata dal parlamento a batter moneta con lo stesso capitale, tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in forma di banconote. Con queste banconote essa poteva scontare cambiali, concedere anticipi su merci e acquistare metalli nobili. Non ci volle molto tempo perchè questa moneta di credito fabbricata dalla Banca d’Inghilterra stessa diventasse la moneta nella quale la Banca faceva prestiti allo Stato e pagava per conto dello Stato gli interessi del debito pubblico. Non bastava però che la Banca desse con una mano per aver restituito di più con l’altra, ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all’ultimo centesimo che aveva dato. A poco a poco essa divenne inevitabilmente il serbatoio dei tesori metallici del paese e il centro di gravitazione di tutto il credito commerciale. In Inghilterra, proprio mentre si smetteva di bruciare le streghe, si cominciò a impiccare i falsificatori di banconote. Gli scritti di quell’epoca, per esempio quelli del Bolingbroke, dimostrano che effetto facesse sui contemporanei l’improvviso emergere di quella genìa di bancocrati, finanzieri, rentiers, mediatori, agenti di cambio e lupi di Borsa."

lunedì, aprile 12, 2010

Rapporto 2009 sul finanziamento pubblico alla scuola privata in Lombardia

da www.lucianomuhlbauer.it/blog/articolo.asp?articolo=639
IL FINANZIAMENTO PUBBLICO ALLA SCUOLA PRIVATA IN LOMBARDIA. I NUMERI, I TRUCCHI E I PRIVILEGI. PUBBLICATO IL RAPPORTO 2009


La scuola pubblica sta subendo il più vasto programma di tagli della storia repubblicana e capita pure che dei genitori debbano donare 40-50 euro perché nella scuola dei loro figli mancano i soldi per comprare la carta. E mentre tutto questo accade, in nome delle ristrettezze di bilancio e della crisi, cosa fa la Regione governata da 15 anni da Roberto Formigoni? Se ne frega e aumenta sempre di più il finanziamento pubblico alla scuola privata e distribuisce sussidi a chi guadagna anche 200mila euro e abita in case di lusso.
Questa è, in estrema sintesi, la realtà che emerge dal Rapporto 2009 sul finanziamento pubblico alla scuola privata in Lombardia, elaborato dal Gruppo regionale di Rifondazione Comunista, sulla base di un’analisi dettagliata e rigorosa del database dell’Assessorato regionale all’Istruzione.
A guardare i numeri, infatti, al governo regionale non sembra importare molto dei destini della scuola pubblica, visto che nell’anno scolastico 2008/2009 ben l’80% dei fondi regionali per il diritto allo studio è stato destinato in via esclusiva agli studenti delle scuole private, frequentate però soltanto il 9% degli studenti.
E lo strumento principale di finanziamento della scuola privata è stato anche quest’anno, come nei sette precedenti, il buono scuola, nel frattempo ri-denominato “dote per la libertà di scelta”. Con questo buono sono stati girati alle scuole private ben 45 milioni nell’anno scolastico 2008/2009 e ne verranno girati oltre 50 milioni in quello 2009/2010. Complessivamente, dal 2001 ad oggi, sono stati così drenati quasi 400 milioni di euro dalle tasche dei contribuenti a quelle della lobby della scuola privata.
E pur di poter garantire questo finanziamento privilegiato alla scuola privata, gli uomini di Cl non si vergognano neanche di erogare, in piena crisi economica, un sussidio pubblico a persone che, bontà loro, non ne avrebbero nemmeno bisogno.
Infatti, per riuscire nel miracolo poco cristiano di elargire ai due terzi dei 98mila studenti delle private lombarde un sussidio regionale, il governo Formigoni-Lega ha truccato le regole del gioco. Cioè, mentre i genitori degli studenti della scuola pubblica devono esibire il certificato Isee –il riccometro- per poter accedere a un piccolo contributo, i richiedenti il buono scuola godono di un meccanismo inventato ad hoc per loro, denominato “indicatore reddituale”, dove i limiti di reddito sono molto più tolleranti e, soprattutto, dove non si deve dichiarare la propria situazione patrimoniale, sia mobiliare, che immobiliare.
E il risultato di questo trucco è tanto stupefacente, quanto indecente, considerato che oltre 4mila beneficiari del buono scuola dichiarano al fisco addirittura un reddito tra 100mila e 200mila euro annui oppure che altri risultano residenti nella zone più prestigiose e costose delle nostre città, come per esempio Galleria Vittorio Emanuele o via Manzoni a Milano.
Insomma, lo scandalo che da anni denunciamo, cioè gli sfacciati privilegi della lobby della scuola privata, non solo si rinnova, ma si aggrava, perché il flusso di denaro pubblico alla scuola privata si intensifica proprio nel momento in cui il Governo sta portando l’attacco più pesante alla scuola pubblica, sostenendo che non ci sarebbero più soldi per nessuno.
Il nostro dossier rappresenta l’unico rapporto di minoranza sull’argomento esistente in Lombardia e mostra quello che il Pirellone vuole invece nascondere. E faremo di tutto per diffonderlo, perché i cittadini lombardi, anzitutto quelli che non la pensano come noi, possano sapere. Poi, ognuno tragga le sue conclusioni.